L’invenzione del matrimonio degli alberi di Accettura (V. Spera)

Intervista a Don Giuseppe Filardi e al prof. Vincenzo Spera

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A tutti gli accetturesi sarà capitato almeno una volta di dover spiegare a qualche altro il significato della festa del Maggio di Accettura  e, molto probabilmente, avranno iniziato dicendo “è un matrimonio fra alberi“.

Una festa antica come quella di Accettura ha delle radici molto profonde e molti studiosi hanno cercato, e cercano tuttora, di dare la propria spiegazione sulla genesi di questo rito.

Uno di questi è Vincenzo Maria Spera, antropologo  presente ad Accettura nella prima spedizione assieme a Bronzini e autore dei testi introduttivi  del primo documento sul Maggio ( 1974) assieme al giornalista fotografo Domenico  Notarangelo; componente del Senato Accademico  dell’università del Molise,  ha proseguito ricerche sulle tradizioni popolari e anche  sui culti arborei presenti nell’ Italia del Sud  e del  Centro.

Nel 2014 ha pubblicato un lavoro in francese chiamato “L’ambiguë et séduisante « inventio » de l’origine archaïque des fêtes populaires. Le cas du Mai d’Accettura” che tradotto vuol dire “L’ambigua e seducente inventio dell’origine arcaica delle feste popolari. Il caso del “Maggio di Accettura“ inserito negli Atti di un convegno tenutosi nel 2013 all’Università di Belgrado. (QUI testo completo con riferimenti bibliografici)

L’abbiamo contattato telefonicamente per farci spiegare quale sia il suo punto di vista sulla interpretazione da dare al nostro Maggio.

:arrow:  Intervista a Vincenzo Spera

<<La festa del “Maggio di Accettura”, – dice –  assunta come campione delle altre feste simili rilevate in Basilicata e Calabria, è analizzata da un’angolazione demologica e storica con cui intendo dimostrare che si tratta di un cerimoniale direttamente collegato alle azioni ludiche e competitive di Carnevale, di cui esistono ampie documentazioni storiche, letterarie e iconografiche in Italia e in Europa.

L’interpretazione che intendo confutare – continua –  è l’origine arcaica attribuita al Maggio di Accettura che, celebrando il “Matrimonio degli alberi”, sarebbe un sopravvissuto rituale preistorico di culto arboreo. Questa interpretazione, introdotta nei primi anni Settanta del secolo scorso, ampiamente diffusa e presa a modello interpretativo per feste simili, diviene comprensibile se correlata al contesto storico e politico degli anni della “scoperta” effettuata da Nicola Scarano, poeta ed insegnante della scuola elementare di Accettura nel 1961, che inviò a Giovanni B. Bronzini una descrizione risultante dalla ricerca realizzata con gli alunni della sua classe.>>

<<Il maestro – continua Spera –  affermava “si ha la sensazione di assistere ad un primitivo rito nunziale fra il tronco e la sua chioma e a un felice imparentamento, sotto gli auspici del Santo Patrono, fra il bosco di Montepiano e la foresta di Gallipoli”.(Scarano 1974 e 1979, 121)

Bronzini tentò di verificare questa sua teoria intervistando gli accetturesi che alla domanda “celebrate un matrimonio?” ricevette la risposta “su per giù”. (Bronzini 1979, 43)

Nella rilevazione del 1971, anch’io chiesi se ì due alberi fossero considerati sposi. I fratelli Cafarelli, personaggi centrali nelle operazioni della festa, mi risposero: «così ci è venuto a dire il professore di Bari». Entrambi alla mia insistenza risposero che «il “Maggio” e la “Cima” sono u Mascè, a Coccagna e la dobbiamo fare per devozione a s. Giuliano». Alla domanda su cosa rappresentasse la Cima di agrifoglio, ì fratelli Cafarelli e altri addetti all’innesto delle due piante risposero che serviva «per fare l’albero completo e più bello e per appendere i premi della Coccagna».

La Cima, non era scelta in un bosco diverso da quello del Maggio perché lo rappresentasse come componete femminile nel supposto matrimonio dei due boschi come sostiene Bronzini.
Alberi di agrifoglio vegetano anche nel bosco di Montepiano, ma più piccoli. Per questo motivo la Cima è prelevata in un bosco diverso da quello del Maggio, dove gli alberi di agrifoglio sono più alti e più belli.>>

Lo “Sposalizio dell’albero” di Vetralla

<<Lo “Sposalizio dell’albero” di Vetralla non ha alcun nesso con il Maggio di Accettura (Spera 1996,145—146); come si ricava dalle varie descrizioni della cerimonia (Scriattoli 1992 [1924], 209-210; Serra 1983, 11-13; Grispini 1984 [1962], 23).

Ho osservato la cerimonia nel 1987, il Sindaco non «roga l’atto di matrimonio secondo l’antica formula», ma legge il testo in cui è definito l’atto di possesso del bosco di Monte Fogliano. Due alberi, un cerro e una quercia, erano decorati con fiori di ginestra. Un velo bianco, disposto come un festone con un fiocco legato a un cavo d’acciaio, era teso fra ì due tronchi. Il velo, da informazioni fornite da alcune anziane, era stato introdotto da alcune donne agli inizi del secolo scorso. La consuetudine di utilizzare vestiti e veli bianchi per la cerimonia nuziale si diffonde agli inizi del secolo scorso e inizialmente in ambito urbano e borghese.>>

Ciclo di Pentecoste e matrimonio di alberi
<<Leggendo la documentazione iconografica europea del XVI secolo, l’albero del maggio diffuso nel resto d’Europa, è descritto come albero della Cuccagna; chi riesce a scalarlo, a prendere le corone e i premi diventa il re del maggio.

Per affermare che il Maggio di Accettura fosse un matrimonio degli alberi, Bronzini cita, con lettura poco attenta, il “Ramo d’oro” di Frazer dal quale trae alcuni esempi di cerimoniali in cui, però, non è indicata una qualsiasi operazione che possa far pensare a un matrimonio tra due alberi. Il brano mostra, invece, la trasformazione già compiuta nel XIII secolo degli alberi di Maggio e di Pentecoste in alberi della Cuccagna.>>

Le Cuccagne napoletane

<<Prima dell’unità d’Italia, Napoli era la capitale del regno delle Due Sicilie ed era il centro urbano di riferimento. Tutto ciò che si svolgeva era preso a modello e imitato.

Particolare interesse suscitava l’organizzazione del Carnevale.
In quei giorni, in vari punti della città erano eretti alberi della Cuccagna detti anche Maggi.

Quando sono venuto ad Accettura nel ’71, si parlava di albero della Cuccagna , così come a Pietrapertosa, Castelmezzano, Rotonda, Pedali, Viggianello, Laino Borgo, Laino Castello, Castelsaraceno, Terranova del Pollino etc. a imitazione della cuccagna napoletana.>>

Le due feste di s. Giuliano

<<Il calendario liturgico fissa al 27 gennaio il giorno dedicato a s. Giuliano. Nella rilevazione della festa invernale, compiuta nel 1983, gli anziani e il parroco, don Vincenzo Rizzo, hanno sostenuto che quella di gennaio era “la vera festa di s. Giuliano patrono di Accettura”.
La festa cade sempre nel ciclo di Carnevale. E’ un dato importante per comprendere la presenza dell’albero del Maggio-Cuccagna e i relativi comportamenti devozionali, agonistici, ludici e carnevaleschi, compresa la contestazione del potere.
La reliquia di s. Giuliano, di ritorno da Sora con l’autentica acquisita il 29 aprile 1797, dovrebbe essere arrivata direttamente ad Accettura entro la metà di maggio. Nell’aprile del 1614 furono trovate le reliquie di s. Giuliano a Sora, la coincidenza, dunque, può essere stata intesa come la volontà del Santo di essere festeggiato nella ricorrenza delle principali feste cristologiche.

L’inclusione della festa del Maggio nel ciclo di Pentecoste può considerarsi la rivincita degli abitanti di Accettura che consacrarono e affermarono la festa del Patrono, inserendola in un ciclo festivo più importante che cadeva in coincidenza con il ritorno della reliquia, cioè del Santo stesso, in paese.

Da quel momento l’abbattimento e la piantagione del Maggio-Cuccagna prima realizzati per la festa del 27 gennaio, furono spostati, con atto fondativo, in coincidenza con la Pentecoste e l’Ascensione.>>

Considerazioni finali
<<L’ambigua, erudita e seducente inventio dell’origine arcaica del Maggio lo ha reso modello utile per antichizzare, in una sorta di contagio interpretativo, tutte le altre feste simili in Basilicata e ovunque compaia un qualsiasi elemento vegetale.

Quest’interpretazione, inoltre, conferma la sua fragilità e mancanza di attenzione storica e contestuale anche quando utilizza il cerimoniale dello “Sposalizio dell’albero” di Vetralla, a conferma di una comune origine arcaica cui dovrebbe fare riferimento il “Matrimonio degli alberi” di Accettura.

Sto rielaborando i miei lavori perché avevo promesso di pubblicarli in maniera più completa sulla rivista delle deputazioni di storia patria (istituti a carattere locale, sostenuti dallo stato con il compito principale di promuovere studi storici relativi ai territori degli stati italiani preunitari, ndr).

Me l’aveva chiesto Carmela Biscaglia del centro di documentazione “Scotellaro” di Tricarico dandogli un taglio ancora più storico perchè nel 1968-69, quando Nicola Scarano fa la ricerca e manda a Bronzini il testo, egli da questa interpretazione ma c’è un contesto storico-culturale che va analizzato meglio.

Il maggio di Accettura, ormai comunemente accettato e conosciuto nell’attuale inventio mitica, si avvia a essere sempre più una vetrina seducente, confezionata per meravigliare turisti, fotografi, giornalisti e operatori televisivi.

Nella mia pubblicazione la dignità degli accetturesi è messa in evidenza, invece, dicendo che il matrimonio degli alberi è un rito arcaico, è come se gli accetturesi per duemila anni non avessero fatto altro e non sono stati in grado di elaborare una loro cultura.

I devoti del Maggo di s. Giuliano sono consapevoli protagonisti e gestori. Sono  i veri proprietari ed elaboratori della propria festa, non la ripetono meccanicamente di anno in anno senza capirne il motivo.>>

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6 commenti

  1. Non potendo partecipare al Convegno, pubblico mie considerazioni sul “Maggio di Accettura”
    La Natura e il Divino nei Culti Agrari
    La nostra tradizione culturale, connessa alle attività agricole, affonda le sue radici nell’immaginario religioso dell’antico mondo mediterraneo, ancorato al culto della “Terra Madre”, (già presente nella iconografia neolitica) della fecondità femminile e della fertilità agraria. Immagine sopravvissuta oltre millenni di storia. Lo riscontriamo nella simbologia delle figurine femminili dei villaggi di Rendina e Favella; del Gabon; nelle deposizioni di macine capovolte che lasciano trapelare forme di riti agrari in cui si intrecciano i concetti di fertilità della terra con quelli della morte e della resurrezione ( 1 ). A queste Immagini simboliche si collega il mito di Demetra e Persefone; la figura greca di Gaia; la dea Mefitis dei Lucani Utiani, protettrice dei campi e degli animali; di Cerere e di Flora cui i Romani dedicavano le feste primaverili, svolgendo riti che celebravano la fecondità della terra: culti mediterranei della “Grande Madre”, perpetuati in epoche successive.
    La mitologia e letteratura greca, come le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, il “De Rerum Natura” di Lucrezio, le odi di Orazio, le metamorfosi di Ovidio ci presentano un paesaggio antico, percepito come metamorfosi divina, cosmo dominato dall’idea dell’unità in cui il Divino vive nella Natura. E tra le divinità, i luoghi e le creature viventi si stabilivano strette relazioni. Una sensibilità sopravvissuta nel mondo rurale fino ai nostri giorni: nel corso della Storia millenaria si sono sovrapposti popoli, culture, religioni, si sono verificate catastrofi e e sconvolgimenti storici, con profonde innovazioni e trasformazioni, ma la concezione del divino, la religiosità del mondo mediterraneo, è sopravvissuta agli eventi e alle grandi trasformazioni, coltivata nel profondo delle coscienze popolari delle comunità rurali, la cui esistenza era fortemente soggetta agli eventi imprevedibili che potevano compromettere le loro fonti di vita: raccolti e allevamenti.
    Ieri si propiziavano le divinità immerse nel Cosmo e il ritorno di Proserpina alla Madre Terra con doni e sacrifici, nel nostro tempo si invoca l’intercessione dei Santi con preghiere ed ex voto. Un “continuum” di profondo senso religioso, di bisogno di fede, di speranze, -di rapporti con il sovrannaturale, che l’uomo ha sempre coltivato, in ogni tempo e in ogni dove, sia pure con modalità e sensibilità differenti nella partecipazione, nei simboli, nelle forme dei riti, nei luoghi di culto.
    Una religiosità piena di elementi sincretici e di tante credenze ancora ampiamente diffuse in un mondo ormai capace di guardare al di la dei nostri cieli e leggere nel mistero della vita. La verità è che la fede e le credenze nel sovrannaturale, le paure e le speranze sono sentimenti ineliminabili negli orizzonti dell’uomo. E la Natura va percepita non come elemento estraneo alla nostra esistenza, ma come altro soggetto, protagonista come l’uomo nella costruzione della storia.
    Sulla base di questa profonda religiosità, ampiamente diffusa tra le nostre popolazioni rurali, legata alla cultura agraria e al ciclo delle stagioni, le festività paesane rappresentavano l’espressione più autentica di una realtà ambientale e di un comune sentire.
    Occasioni, inoltre, di folclore come patrimonio culturale delle comunità e rappresentazione delle specifiche componenti sociali, come opportunità di nuove conoscenze e relazioni affettive.
    In questo contesto culturale del mondo agricolo va inquadrato il culto originario dell’albero, molto probabilmente introdotto dai coloni longobardi. (2)
    Gli arcaici riti ereditati dal paganesimo, pre-cristiani dunque, tramandati per generazioni, sono sopravvissuti nelle nuove forme di religiosità, specialmente nelle aree interne più refrattarie alle innovazioni e lontane dalle città e dai centri di potere. Il potere civile e religioso li tollerava o li ignorava fino a quando non creavano problemi all’ordine costituito; diversamente si interveniva con repressioni anche violente di cui la storia ci offre crude testimonianze.
    La Chiesa ha cercato invano di estirpare quelle credenze di sapore pagano, che non si potevano tuttavia sopprimere perché radicate nel profondo delle coscienze popolari: le classi subalterne, infatti, emarginate ed escluse da ogni forma di potere e di organizzazione sociale, trovavano nel culto degli alberi, come in quello delle fonti, delle pietre, degli animali, poi di particolari divinità e santi, uno spazio appartato ed estraneo ai rappresentanti del potere e ai riti ufficiali, un momento di autogestione e di libertà. (3)
    1. Un esemplare di culto dell’albero
    Il “Maggio” di Accettura
    Il culto dell’albero, diffuso tra le popolazioni del Nord Europa, ed introdotto da noi dalle comunità longobarde, insediate nel nostro territorio, è sopravvissuto nonostante le proibizioni del re cristianizzato Liutprando (725) e successive crociate contro altre simili manifestazioni. Tollerato o ignorato per secoli dalle istituzioni civili e religiose, nel nuovo clima di rapporti sociali che la Rivoluzione Francese diffondeva anche in Italia, ha posto al potere il problema di non lasciarlo alla libera gestione popolare. Occorreva il controllo sociale, civile e religioso, anche perché attecchivano nuove aspirazioni e si ergevano alberi come simbolo della libertà e della riscossa delle classi subalterne. Il Regno di Napoli, d’altra parte, era in guerra con la Repubblica francese in seguito alla decapitazione del re Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta, sorella della regina di Napoli Carolina. Si era inoltre in quel clima culturale e politico che sfociò nella Rivoluzione del 1799 e nella proclamazione della Repubblica Partenopea, che, sappiamo, ebbe un esito tragico, che vide nella repressione protagonisti i sanfedisti del cardinale Ruffo.
    Ad Accettura, quindi, l’avvenuta certificazione dell’autenticità della reliquia di San Giuliano ( la bolla è datata 29 aprile 1797) – vescovo di Tricarico il ricco feudatario terriero A. Pinto che l’aveva prescritta nella sua visita pastorale (4)- fu l’occasione per avviare il percorso consueto di cristianizzazione e di controllo, spostando la data dei festeggiamenti dal 27 gennaio al martedì dopo la Pentecoste, assorbendo nella festività religiosa del Santo, quella fino ad allora di esclusiva gestione popolare di coloni e ”braccianti”: un “Rituale di incantesimo agrario” – scriveva il Bronzini – “Una commistione fra un culto spontaneo e una religione coatta che i contadini di Accettura ancora sentono nella sua originaria essenza di religione di salvezza sulla terra” (5)
    il “Maggio”, dunque, innestandosi sulle istanze di una religiosità di antica tradizione, ha potuto assumere il particolare significato del rifiorire della vita animale e vegetale; della fecondità della terra e del lavoro; delle speranze affidate al grembo di Era e Demetra. L’ innesto di due alberi diversi, prelevati da siti lontani, poteva costituire l’atto simbolico di contaminazione, di rinnovata energia vitale e fecondità agraria. Significative inoltre le concomitanti processioni di San Giovanni e San Paolo da Valdienna, espressione di residuale fiducia nei poteri divini per fatti contingenti: venuta o fine delle piogge a seconda delle necessità. Erano le risposte attese, in rapporto ai bisogni, invocate attraverso espressioni codificate in forme e funzioni diverse, coerenti con le situazioni e il sentire del tempo. Si sono così prodotte trasformazioni e contaminazioni ( vedi le feste di maggio medievali) culturali riversate in riti agresti, persistenti fino ai tempi della cultura agraria dell’aratro, della falce, delle aie e della trebbiatura a piedi. (6)
    Tutto ciò spiega anche la persistenza dei culti arborei ad Accettura ed altrove, come in tre paesi del Parco (Oliveto, Pietrapertosa, Castelmezzano), a Pastena, ad Alessandria del Carretto e in tanti altri luoghi dell’Italia ed europei. Pregevole la ricerca degli alunni delle Scuole Elementari di Accettura sulla diffusione in Italia dei culti arborei, effettuata nell’anno scolastico 1998-1999, le cui risultanze sono state pubblicate come supplemento al n. 13 del trimestrale “Paese”: “fior di maggio – l’Antico Rito di Piantar Alberi”, di cui il Mirizzi evidenzia il valore documentario “ ai fini della costruzione di una mappa attendibile e completa della diffusione dei riti arborei in Italia.”
    La diffidenza della Chiesa nei confronti di tali manifestazioni popolari è apparsa evidente e non sono mancati tentativi di soppressione o di dissociazione. Tuttavia, coinvolgendo sentimenti profondamente sentiti dal popolo ed ineliminabili, si è cercato di “non lasciare interamente ai laici la gestione di tutto il complesso cerimoniale.” Così il Vescovo di Anglona Tursi esortava il parroco, in un documento (“Osservazioni Particolari”) conservato nell’archivio della Chiesa Madre, quando si recò in visita ad Alessandria del Carretto, nel maggio del 1951 ( 7 )
    2. Rinnovata vitalità della festa del “Maggio”
    ed interpretazioni
    Attualmente in montagna il mondo rurale che abbiamo vissuto si è disarticolato. L’agricoltura non è più la struttura portante dell’economia e gli insediamenti rurali quasi tutti abbandonati. Le antiche forme di organizzazione sociale e di utilizzazione delle risorse sono ormai superate. Diversa la percezione dei luoghi. Differenti i rapporti con la natura. I ritmi delle stagioni non più determinanti sugli eventi e la vita delle persone. Oggi percepiamo le distanze in rapporto al tempo di percorrenza e le nostre conoscenze si proiettano nello spazio infinito e nei geni costitutivi del nostro essere. Di qui nuove sensibilità, nuove culture e una diversa religiosità. Viviamo tuttavia in un mondo pervaso da profonde contraddizioni: grandi slanci verso orizzonti aperti al futuro e nello spazio infinito. Profonde regressioni verso le tenebre di ataviche paure e nuove superstizioni.
    Nel clima di questa nuova situazione storica e di nuovi bisogni già nei primi anni sessanta la festa del “Maggio” sembrava aver perduto slancio e partecipazione corale. L’emigrazione e l’abbandono delle campagne sembrava aver sottratto base sociale alla “Domenica del Maggio”; le stesse motivazioni e funzioni della festa apparivano svuotate di senso
    Tuttavia in un clima di rinnovato interesse e partecipazione popolare, grazie anche all’impegno innovativo della nuova procura ( connessioni e contributi degli emigrati dall’Europa e dall’America, coinvolgimento di cantanti popolari e noti al pubblico attraverso la televisione, gare di fuochi pirotecnici, riaffermazione della consuetudine degli spari alla “cima”), al ritorno alle proprie radici dei primi emigranti e l’emergere di più giovani protagonisti ( di cui memorabile “Zizilone”), la “Festa del Maggio” fu animata da nuovo vigore. Inoltre l’antropologo Bronzini, proprio alla fine degli anni sessanta, rivolse la sua attenzione di studioso con ricerche effettuate sul campo. Immerso e coinvolto nel flusso dei vari momenti della festa, come uno di noi e non semplicemente da ricercatore, l’ha vissuta e documentata con la collaborazione di Porsia e Musca di cui molto significativa la storica rappresentazione nel cinema De Luca delle diapositive e del filmato super 8 in cui i protagonisti della festa, per la prima volta si vedevano riflessi sullo schermo. Fu un incontro molto fecondo attraverso cui i protagonisti e l’intera comunità accetturese presero coscienza dell’originalità e del valore storico e antropologico, oltre che spettacolare, della festa.
    Il Bronzini, inoltre, individuava la nuova linfa vitale che animava il clima festivo: la partecipazione dei giovani e la riscoperta di una identità che va oltre la “diaspora” del nostro tempo, coinvolgendo comunità intere e ricreare altrove la tradizionale festa.
    La festa, Interpretata nel suo autentico senso e portata all’attenzione dei cittadini e di altri studiosi con la pubblicazione delle risultanze delle ricerche: sulla rivista “Ares” prima, col testo “Accettura – Il Contadino – l’Albero – il Santo” dopo una nuova verifica dell’anno 1975, ebbe un tale impulso da varcare confini geografici e culturali.
    Da allora altri studiosi ed artisti l’hanno reinterpretata e rappresentata in svariate forme espressive: le fotografia di Notarangelo, di Cresci, di Dondero, filmati diversi, riprese di Pinelli-Folco Quilici, rappresentazioni pittoriche di giovani artisti, i bassorilievi del Molinari ( 8 ). Il Donini, in occasione della presentazione a Matera del testo monografico sul “Maggio”, comprendente le fotografie di Notarangelo e le figurazioni interpretative del “Maggio” dei cinque artisti materani: Guerricchio, Filazzola, Pepe, Ambrosecchia, Fortunato, individuava nella manifestazione corale della festa le espressioni più alte della solidarietà tra le masse popolari; “l’esperienza millenaria, fatta di ttaccamento tenace alla vita…di quei ceti ancora definiti subalterni”, che con il loro lavoro, e la loro spontanea partecipazione sul piano della storia vera e dello sviluppo della vita associata, “hanno reso possibile il dispiegarsi di più giusti rapporti umani.”( 9 )
    Il Lanternani ha messo in risalto la funzione identitaria e il valore socializzante della festa e del “Maggio”: simbolo di una storia, cultura, tradizione; della “personalità collettiva” di un popolo.
    Si sono aggiunti tanti altri interventi come quelli di Spera, Merizzi; il parroco Filardi ha proposto la suggestiva ipotesi di una “origine longobardo-cristiana del “Maggio” nei luoghi occupati dai Longobardi” (10) Il “ Maggio” di Accettura, attualmente, non esprime più l’autenticità del mondo agrario dei tempi dell’infanzia. E’ cambiato innanzitutto lo scenario delle campagne. L’emigrazione e l’esodo hanno disarticolato il mondo agricolo, scardinato l’economia dei paesi interni della montagna. Eppure ancora scorrono le immagini dell’antica tradizione: i buoi, inghirlandati e aggiogati ai tronchi, percorrono come sempre la dorsale Montepiano-Accettura, tra il giallo vivido delle ginestre, le tenue sfumature di rose selvatiche e biancospini, il verde della frasca novella e i colori sgargianti delle vesti attorno a tavolate imbandite tra l’erba. Accompagnano il “Maggio” nel lungo percorso i suoni ininterrotti degli organetti, il frastuono della bassa musica (scassatamburi), le grida di incitamento ai buoi aggiogati, il vociare delle donne e dei bambini al seguito,. In paese una folla spettatrice, pur sempre esuberante, di residenti, migranti e forestieri nell’attesa della caratteristica processione, per godere della spettacolarità delle scene e della competizione degli attori impegnati nella guida dei buoi. Spettacolare e molto animato dunque il clima festivo che si respira, soprattutto per la grande partecipazione dei giovani di diversa età, convenuti da diverse parti dell’Italia, dell’Europa e dell’America nella guida dei buoi o nel trasporto della “Cima” a spalle da Gallipoli. Nella piazzetta dell’incontro, opportunamente dedicata a Bronzini, girano canestre di zeppole, biscotti, chiacchiere, fiaschi di vino e birre. Suoni, canti, balli. Infine la sfilata delle pariglie di buoi per le luminarie concludono la lunga e operosa giornata. Il Lunedì i preliminari per l’innesto della “Cima” e l’elevazione del “Maggio”, che vede la partecipazione ammirevole di tanti volenterosi con competenze diverse. Il martedì festa religiosa del Santo e l’interminabile processione ricca di folclore, momento significativo di coesione sociale e di genuina religiosità, ma anche occasione per riaffermare poteri e autorità, ruoli e funzioni di cittadini e categorie sociali. A largo San Vito la comunità esprime la sua essenza più vera e il folclore della tradizione; qui si concretizza il senso più profondo del culto del Santo e dell’albero, quel sincretismo autentico tra antica forma di rito pre-cristiana e attuale religiosità popolare scaturita dalla fonte del Cristianesimo, maturata nel culto dei Santi. La erezione definitiva del “Maggio” viene completata, come per tradizione, alla presenza del Santo, che assiste dalla chiappa di San Vito. E per ore acrobazie di scalatori intenti a liberare il Maggio dalle funi, balli e canti con stendardi e “cente”. Largo San Vito in festa. La processione, pur sempre caratteristica e simbolica, vede al suo seguito una massa di fedeli e laute offerte. Personaggi istituzionali convengono con i propri gonfaloni (che si aggiungono a qualche reperto delle confraternite ormai esaurite). A conclusione della processione lo spettacolo affascinante della scalata. Ma non più gli spari alle targhette pendenti dai rami dell’agrifoglio; con le trasformazioni epocali e il sopraggiungere di nuovi bisogni sono emerse nuove sensibilità; un tempo vedevi pendere dalla cima polli e colombelle, allevati e immolati, a mia memoria, in onore non so di quale divinità.
    Nel “Maggio” di Accettura tutto si armonizza, comunque, come un tempo, con la natura, nella cornice del paesaggio meraviglioso della Salandrella e della Misegna. Preparativi, gesti, atti, folclore si rinnovano con procedure, strumenti di antica consuetudine. Eppure… non aleggia più l’autenticità di un tempo, espressione dei bisogni e della vita del mondo agreste.
    Resta pur sempre indelebile il “Maggio dell’infanzia”. Quello delle narrazioni e visioni di un mondo rurale autentico e partecipato. E’ innanzitutto cambiato lo scenario. Il bosco invecchiato e degradato. Gli spazi delimitati e chiusi; quelli delle “lepezzodd”, urbanizzati. Non consentono più il libero dispiegarsi della festa, né corse dietro le farfalle di giorno e casette di fuochi la sera. Non più frecciate ai polli pendenti, ai voli radenti di rondoni dal ciglio di largo San Vito…né frutti, ancora acerbi, dalla cima dei nostri “maggi”, elevati ad imitazione degli adulti…
    E’ cambiato soprattutto il clima complessivo. La maggior parte degli attori sono “altri”, estranei al mondo rurale. Non massari e lavoratori di campi a incitare i buoi, compagni di vita e di lavoro, né braccianti composti sotto il peso della “Cima”. Pochi gli attori e tanti spettatori. Diversa, inoltre, la percezione popolare del “ Maggio” e l’atmosfera festiva della sera. (11). Un tempo inno alla natura di cui ci si sentiva partecipe, attualmente l’evento si manifesta essenzialmente come occasione di liberazione da una quotidianità sempre uguale e priva di slanci; In una manifestazione in cui predomina l’elemento rurale, gli aspetti meravigliosi del nostro paesaggio vengono colti di sfuggita. Si percepisce un certo distacco dalla Natura, vista come a sé stante, e non parte integrante del nostro mondo e della nostra esistenza.
    Con i tempi siamo cambiati anche noi, che non percepiamo più la Natura e la Vita con lo sguardo del fanciullo. Differenti le sensibilità e gli interessi. Predominano elementi spettacolari e chiassosi. Nei tre giorni di festa il paese è sommerso da una diffusa spettacolarità di cui sono esemplari le pariglie di buoi maestosi, il trascinamento degli alberi, l’innalzamento del “Maggio”, le acrobazie degli scalatori, anche a trenta metri di altezza, sulle “crocce”, sulla cima, con le funi. E qui il doveroso richiamo del mitico scalatore “Zizilone”. La “Domenica” del Maggio” (a Pentecoste, festa della natura) e il martedì ricorrenza del Santo protettore (festa religiosa e processione di San Giuliano), due momenti di autentica partecipazione popolare e di profondo senso religioso, un tempo sentiti e vissuti come distinti e autonomi, sia pure complementari, trovavano il loro momento di sintesi e di integrazione nella fase clou dei festeggiamenti, a conclusione cioè dell’innalzamento del “Maggio”. Il sincretismo dei due rituali, quello del risveglio primaverile e quello del culto del Santo, della Natura e del Religioso, che prima si concretizzava naturalmente più per innesto, che per sovrapposizione, in un amalgama funzionale ai ruoli e alla coesione delle componenti sociali, oggi ci appare più costruito e diversamente animato: “La Festa del Maggio”, o meglio la “Domenica del Maggio”, è divenuta prima “Il Maggio di Accettura”, attualmente “ Il Maggio di San Giuliano”. Accettura, “Il paese del Maggio di San Giuliano”.
    3. Attualità della festa – nuove rappresentazioni e funzioni
    Comunque, Inaridite le motivazioni originarie, il fervore religioso e la vitalità dell’evento sopravvivono tuttavia nella nuova funzione di coesione sociale, di radice identitaria, di rinnovati rapporti tra l’intera comunità accetturese, dispersa in ogni dove..
    Grazie a questa nuova funzione “Il Maggio”, espressione alta della solidarietà tra le masse popolari, pur sempre ogni anno si rinnova nel solco della tradizione. Di grande richiamo e di incontri, soprattutto per i figli degli emigranti, che riscoprono culture e tradizioni dei padri, e costruiscono nuove e più profonde relazioni con la terra d’origine.
    Il “Maggio”di Accettura conserva, comunque, ancora elementi di una originaria genuinità nella coralità, nelle procedure. nel volontarismo degli attori. E’ occasione di socialità e di riaffermazione di una identità collettiva, costruita attraverso il processo di una particolare storia umana, quella di una comunità di emigranti, che trova nel “Maggio” la metafora per trasmetterla alle nuove generazioni.
    Divulgata in Italia e nel mondo come espressione autentica del mondo rurale, inclusa dall’UNESCO tra le 47 più belle “ Fete du Soleil”, la festa del “Maggio” ha assunto nuovo vigore perché riscoperta, soprattutto dai giovani, residenti e figli di emigrati, come evento identitario, di coesione sociale e di memoria collettiva. In un clima di diaspora diffusa, assolve la nuova funzione di auto-identificazione degli accetturesi dispersi nel mondo; come fu per gli emigranti in America all’inizio del XX secolo, i quali, riproducendo il rito nel parco del New Jelsy, convenuti dai diversi luoghi di residenza e di lavoro, insieme, attraverso il recupero di valori primari e tradizioni comuni, riscoprivano le radici del loro essere, la loro identità. Anche le comunità dell’esodo degli anni sessanta sentono il richiamo delle loro tradizioni, rinnovando nei luoghi della nuova residenza il culto del Santo, come a Stoccarda e Monsummano Terme.(12)
    Se dunque non è possibile reinventare bisogni e sensibilità di un mondo ormai scomparso, la festa del “ Maggio” mantiene la sua vitalità perché assolve, oggi, nuove funzioni, che le infondono nuova anima, motivazioni e autentica partecipazione, specialmente grazie ai giovani di luoghi vicini e lontani, che sentono l’evento del “Maggio” come appuntamento di incontri e amicizia, come momento corale della loro vitalità e del loro autentico sentire.
    In un’area protetta, inoltre, finalizzata a valorizzare i valori ambientali e i rapporti con il territorio, i culti arborei dei quattro paesi su cinque potranno costituire occasioni ed opportunità per recuperare i legami perduti con la Natura, in un paesaggio di ambienti meravigliosi e unici i cui nomi risuonano nella memoria e nelle comunicazioni: Montepiano, Gallipoli, Salandrella, Dolomiti Lucane…luoghi di picchi rocciosi, di foreste ricche di biodiversità, di paesaggi e orizzonti, di paesi e ambienti accoglienti. Tanti altri aspetti e caratteristiche godibili nell’intero territorio del Parco.
    Note
    1 ) Una rappresentazione simbolica della “ Grande Madre”, dea della fertilità, si può individuare nelle figurine del Neolitico. Quelle di Rendina e Falvella, caratterizzate da una accentuazione naturalistica del bacino, ci riportano ad una centralità della figura femminile, signora della gravidanza e della nascita. Interessante il ritrovamento nel Riparo del Gaban del trentino, di “due piccole figure femminili su placca ossea e su dente di sus”. L’area genitale di entrambe,“malgrado le dimensioni quasi miniaturistiche e l’aspetto arcaico”… “ è sottolineata da profondi scavi e nella statuetta su placca ossea tutta la parte inferiore, completamente dipinta con ocra rossa, ha una conformazione pubica con al centro un motivo alberiforme. Interpretato da Marij Gimbutas (1991) e Jean Guilaine (1994) come simbolo della rinascita vegetale a partire dal grembo della terra, questo motivo mette in risalto il tipico collegamento neolitico tra fecondità femminile e fertilità agraria.” Nel Neolitico frequente la rappresentazione di bovini che “rafforza l’ipotesi di una dualità dell’opzione iconografica neolitica, oscillante- in Europa come nel Levante- tra i due simboli della donna e del toro. La speciale sacralità dei bovini potrebbe essere collegata anche alla loro identificazione come archetipo della domesticazione animale; al polo opposto i cervidi sembrano rappresentare il simbolo per eccellenza del mondo selvatico”. “Archeologia del Neolitico- L’Italia tra il VI e IV millennio a. C.- Andrea Pessina- Vincenzo Tiné. Pag. 245 e seg.- Carocci Editore Significative, per quanto riguarda i culti agricoli, le diverse forme di deposizione post-funzionale delle macine capovolte. Pessina-Tiné, a tale riguardo, scrivono: “lasciano trapelare “una particolare credenza o superstizione legata ad un culto agricolo”( S.Tiné p.101), se non addirittura “a forme di riti agrari in cui si intrecciano i concetti di fertilità della terra con quelli della morte e della resurrezione. (Grifoni Cremonesi, 202, p. 218)” 264 ).E’ da considerare, inoltre, che nella cultura dei Greci accanto alla religione pubblica si sono sviluppate forme di religiosità di culti misterici dedicati a Orfeo e Dionisio, a Demetra e Persefone, che penetrarono nel mondo romano, influenzando perfino il Cristianesimo. Il tema comune era l’esistenza dell’anima e il binomio morte e resurrezione: la morte di un componente della coppia e il ripristino dell’unione attraverso la rinascita. Una nozione di resurrezione che sembra sia stata elaborata sulla base di riti legati, appunto, al ciclo vegetativo. (2) Nicola Scarano, nelle sue prime poesie Gocce al Mare del 1957, come in Capodanno -Sant’Antuono L’Annunziata, ha colto il senso e il clima festivo del tempo: brevi parentesi felici di una vita di lavoro sempre uguale; momenti magici in un mondo circoscritto e immutabile. Speranze nella benevolenza ed intercessione dei Santi per la tutela delle persone, degli animali e buoni raccolti. Scarano segnalò, inoltre, a Bronzini, la folcloristica tradizione del “Maggio” di Accettura, oggetto di ricerca dei suoi alunni
    (3) Pietro Efner nelle premessa al testo “ Chiese , Baroni e Popolo” nel Cilento” indica nella geografia dei Monasteri “punti di approdo e di irradiazione di piccole comunità che oltre a vivere in termini autentici la religiosità costituiscono anche dei centri in cui si esperimentano culture agricole e produttive nuove…. significativa è l’immagine che emerge dalla ricerca di una popolazione contadina pervasa da una serenità quasi ellenica anche se spesso tragica e sofferente, conseguenza di lutti e guerre, tanto diffusi e prolungati nel territorio. Significative anche le manifestazioni popolari e religiose più vicine ai baccanali pagani che alla liturgia cristiana. Anche la preparazione alla morte era scenografata con processioni e fiaccolate.
    Riprendendo gli sparsi accenni del saggio, possiamo dire che l’uomo comune del territorio appare riflesso in una ideologia equilibrata tra valori pagani e valori cristiani, in un rapporto che fa prevalere ora l’uno ora l’altro, ma sempre dentro i simboli proposti dalla Chiesa e dai Baroni.”
    (4) Appunti…Filardi
    (5) Il Bronzini, in merito alla distinzione generica e superficiale tra l’elemento profano e religioso, pagano e cristiano della festa, preferisce quella più autentica fra fase popolare e la civile o borghese.” Senza dubbio anche nella festa di Accettura, che celebra un primitivo rito di nozze arboree per la fertilità dei campi con scoperte simbologie falliche, sono distinguibili, come in molte altre feste, i due strati, quello precristico ( più che pagano ) e quello cristiano, che si sono però bene amalgamati, quasi fusi, per la natura sacra dei primitivi culti agrari che il cristianesimo delle origini assorbì nei suoi miti biblici e racconti evangelici, dove alberi, acque e d altri elementi della creazione sono considerati come forze animate della natura…” (“Accettura, il Contadino, L’albero, il Santo”di G.B.Bronzini-Congedo – p. 106 )
    (6) Spera riporta l’origine del Maggio di Accettura e degli “altri maggi” del territorio alle manifestazioni carnevalesche dell’albero della Cuccagna, che ad Accettura si svolgeva in occasione della ricorrenza del Santo Patrono San Giuliano del 27 gennaio. Fu trasferita alla domenica della Pentecoste perché coincidente con la consegna della bolla attestante l’autenticità della reliquia del Santo, richiesta dal Vescovo di Tricarico Pinto, pervenuta da Sora. Una festa, in quella occasione, da interpretare come tripudio del popolo per la conferma ufficiale dell’autenticità della loro fede e come rivincita nei riguardi del Vescovo che l’aveva messa in dubbio.
    (7) Simona Savone, trattando del culto arboreo di Alessandria del Carretto, e della diffidenza dell’alto clero nei confronti “ di una festa dalle caratteristiche chiaramente pagane” riporta una delle “ Osservazioni Particolari” del Vescovo di Anglona- Tursi ripresa da “ Le radici dell’albero” di D.Scarfoglio: “ l’interesse a non lasciare interamente ai laici la gestione di tutto il complesso cerimoniale, nella prospettiva di un intervento …moderatore, se non riformatore, della Chiesa:-il parroco non si disinteressi delle feste popolari, lasciando fare tutto ai così detti “procuratori”, e cerchi di moderare la cerimonia della peta, che sa di feticismo.” ( Il “maggio”- Aspetti culturali e linguistici del culto arboreo a Pastena- p. 189 -di Simona Savone -edito dal Comune di Pastena 2001- Tipografia Prometer Italia – Frosinone)
    Degli stessi anni cinquanta riaffiorano nella nostra memoria i contrasti ad Accettura, per la gestione della festa del Maggio”, tra la procura di nomina laica e il parroco; gli anatemi vescovili per gli aspetti pagani. Significativa la delibera del consiglio comunale di Accettura( citata da A. Labbate in “ Fior di maggio” 1999 – p. 99 – come il più antico documento) “ con la quale si nomina la commissione incaricata dell’organizzazione della festa e si assegnano gli alberi necessari per il suo svolgimento”
    ( 8 ) Il Bronzini, riferendosi al “fecondo incontro antropologico-artistico” con Rocco Molinari, in relazione con il “ Maggio” di Accettura, scrive : “ Le versioni scultoree ch’egli dà della festa corrispondono per taluni aspetti alla versione cui si è giunti attraverso la ricerca demo-etno-antropologica….E’ naturale che la creatività dell’artista fonda principalmente sullo scavo memoriale di una cultura volta al rintraccio, per via intuitiva, dello strato profondo di essa, trovi maggiore materia d’ispirazione nella storia mitica della festa e sviluppi nelle sue figure i miti della madre terra e della gestazione lunare che si compie nel seno di essa, i rapporti primordiali e però continuatisi fra i contadini lucani degli uomini laborantes con gli animali, le antiche e persistenti corrispondenze tra i fenomeni della natura e i fatti della cultura.”…
    “ L’antropologo, che non deve mai abdicare al suo ruolo primario di storico della cultura e della società, non può confondere l’origine mitica con quella storica della festa: il “Maggio” di Accettura ha un fondo antico, rintracciabile nei culti della terra descritti da Mannhart e Frazer, alla fine del secolo scorso, e una vicenda moderna, comune a quella di altri <> europei, databili e storicizzabili in età moderna, secondo le nuove prospettive di Hans Moser (1961). Non può altresì l’antropologo non considerare l’evoluzione sociale della festa, la persistenza di certe funzioni e la prevalenza di alcune su altre: quella, per esempio, dei Santi protettori, la cui forza di tradizione è direttamente proporzionata alla portata dei bisogni terreni delle popolazioni.” ( “ Materia e Memoria di Lucania – La Scultura di Rocco Molinari” di Francesco D’Epicopo – pagg.8-9 – Congedo Editore- Galatina 1984)
    (9) In occasione della presentazione di una monografia sul “Maggio” di Accettura pubblicata da un collettivo di studiosi e artisti il Donini scriveva: “Quello che ha richiamato, da alcuni anni a questa parte, l’attenzione di eminenti studiosi dell’ateneo barese, come i professori Bronzini, Musca e Porsia. Di personalità politiche e culturali del Materano e di giovani ricercatori, e pittori aperti alla storia reale della loro terra, non è mai stato l’aspetto puramente esterno ed episodico di questa grande festa della rinascita della natura e dell’uomo, che dal gioco delle forze che lo circondano trae ragione di solidarietà e ragione di progresso. Né l’immediatezza della gente di Accettura è mai stata, per loro, di semplice curiosità e di predisposizione del pittoresco – semmai di spontanea partecipazione e di ammirata capacità di apprendere e meditare. Essi sentivano, invece, che le grandiose nozze mistiche tra gli alberi più vicini al cuore degli uomini non avevano senso soltanto per la preoccupazione di assecondare e dirigere le energie della natura al servizio della collettività; ma costituivano da secoli, e costituiscono tuttora, un momento esistenziale, una forma spontanea di partecipazione allo sviluppo della vita associata, in uno spirito di organizzazione e di dedizione, che è tra le espressioni più alte della solidarietà tra le masse popolari.” (Donini Ambrogio – La festa primaverile di Accettura precorre il più grande maggio del lavoro – Periodico EPT di Matera -anno 1975 -anno I n.1)
    Vincenzo Spera ha pubblicato ( Michele Liantonio Editore – 1975) “ Sei artisti col Maggio di Accettura” estratto dal volume monografico citato.
    (10) Quel già “cristiana” mi sembra una ipotesi inverosimile se si considerano gli editti dello stesso Liutprando contro la pratica di riti e credenze tradizionali del suo popolo, come quelli dell’albero e delle serpi. Da condividere, invece, la considerazione che “la religiosità popolare non è da considerarsi un residuato del passato” “un pezzo da museo”, perché “ La religiosità è qualcosa di vivo e di attuale per il fatto stesso che essa è pur sempre un vissuto di contemporanei la cui vitalità culturale è indiscutibile.” Vitalità culturale che comunque affonda le sue radici in valori, visioni, maturati in epoche molto lontane, tramandati per generazioni con le mutazioni che lo spirito delle diverse contemporaneità vi ha impresse.
    (11) In riferimento al processo di evoluzione dinamica della festa, il Bronzini già aveva sottolineato il passaggio da un rituale di incantesimo agrario a quello di spettacolo popolare. Dopo la prima inchiesta del 1969, infatti, ritornato nel 1977 e penetrando ulteriormente nella struttura collettiva e funzione comunitaria della festa, osservava: Ciò che conta ” Non è l’agonismo individuale”… ” Ed è quanto la festa va guadagnando con la partecipazione dei giovani, che specie nelle frenetiche danze sotto la cima, al momento dell’arrivo del Maggio, hanno fatto esplodere la carica carnevalesca del rito… ” “L’ aspetto primaverile del rito che i vecchi contadini conservavano con un più composto ballo simbolico ha ceduto il posto al non meno tradizionale aspetto carnevalesco. Non dobbiamo dolercene, né si può, ammesso che si voglia, regolare la dinamica di una cultura viva, alimentata da germi antichissimi, sopiti e risvegliati.” pag. 114
    (12) Don Peppino Filardi racconta la sua partecipazione alla festa di San Giuliano negli U.S.A., ad Astoria nel luglio del 1976, a New Gelsy nel 1988, anno in cui del “Maggio” non c’era che un vago ricordo. Ad Astoria, invece, terminata la processione, aveva assistito alla scalata di un albero, “ alto circa 15 metri, comparso di grasso”, un abete “ con la chioma piena di salumi, formaggi e altro” ( Ibidem “ fior di maggio” pagg. 102-106)
    Quest’anno (anno 2014) a Stoccarda (Germania) la festa si svolgerà il 25 gennaio; il programma prevede la processione intono alla chiesa di S. Nikolaus, musiche e degustazione di cibi tradizionali. Per la festa a Monsummano La Proloco e il gruppo Folk “ I Maggiaioli” hanno dato la loro adesione ed organizzato un pullman con partenza 31 gennaio e rientro 2 febbraio.

  2. Cari Accetturesi,
    In riferimento al mio scritto del 1975, al commento nel documentario di
    Mario Carbone e a quanto presentato nel Catalogo della mostra “L’uomo
    selvatico in Italia (vedi bibliografia) devo dire che a qual tempo anch’io
    ero affascinato dall’idea del Maggio come residuale culto arboreo. Il
    tempo e la crescita in campo scientifico e la poca convinzione delle tesi
    inizialmente condivise, il tutto condito da tanta curiosità, mi hanno
    consentito di approfondire gli studi e le ricerche, allargando il campo di
    indagine e la prospettiva osservativa. Da qui, dunque, la nuova ipotesi
    che, vedo, comincia a far discutere. Cosa che mi fa molto piacere e che
    consentirà a tutti coloro che sono pro o contro la mia linea
    interpretativa, di allargare l’orizzonte entro cui tutti, ciascuno a
    proprio modo e piacimento, continueremo a piantare e alzare i nostri
    Maggi, quelli personali e quelli comunitari. Tanto s. Giuliano sta là per
    tutti, e non si muove più da Accettura
    L’interpretazione, ora pubblicata nell’articolo oggetto di discussione,
    l’avevo già in parte presentata in altre due occasioni, in Francia (vedi
    bibliografia Spera 1998 – ma presentata due anni prima in un convegno al
    Museo delle tradizioni popolari di Parigi) e in Giappone (vedi
    bibliografia Spera 1996).
    L’accettazione o il rifiuto di qualsiasi proposta o ipotesi interpretativa
    di un evento così complesso, come il Maggio di Accettura, che non è un
    ”unicum” in Basilicata, in Italia e nel resto d’Europa, può avere senso
    solo quando si lascino da parte atteggiamenti di tipo fideistico, emotivo
    o nostalgico. Certamente un errore è ricorre ad altre mitologie non ben
    definite oltre gli stereotipi o i facili entusiasmi per tutto ciò che
    “affonda le radici nella notte dei tempi”.
    Tutti hanno ragione dal loro punto di vista. Il problema e che ciascun
    punto di vista andrebbe confrontato con quello degli altri, utilizzando
    metodologie specifiche e, perché no – mi voglio rovinare signore e signori
    – anche storiche, corredate da due condimenti, poco reperibili sul mercato
    della scarsa alimentazione culturale: la capacità di ascolto e la capacità
    di rimettersi in discussione. Per quanto mi riguarda la prima non so fino
    a che punto l’abbia bene utilizzata, certo ho tentato di spargerla come
    sale prezioso nelle mie ricerche; la seconda l’ho abbondantemente
    utilizzata, confutando quanto io stesso ho sostenuto e scritto nei primi
    anni dei miei studi, come qualcuno mi contesta – cosa che mi fa onore e
    che accetto come un bel complimento.
    Agli argomenti e a tutto ciò che comparirà in questa sede risponderò
    quando sarò ad Accettura nel prossimo autunno. In questa sede non
    interverrò più direttamente, ma raccoglierò quanto vi sarà scritto.
    Vincenzo M. Spera

  3. Per Barbarito Donato Antonio.
    Don Giuseppe Filardi, insieme al comitato feste di San Giuliano, ha già deciso che a valle di questa discussione e non appena il prof. Spera potrà raggiungerci ad Accettura, si terrà un convegno su questo importante argomento.

    Saluti

  4. Suggestive le nuove interpretazioni proposte dall’antropologo Spera sul Maggio di Accettura, in opposizione polemica a quelle del Bronzini, che costituiscono la risultante di ricerche sul campo, effettuate in due periodi distinti (1969 – 1976) con argomentazioni coerenti e articolate anche alla luce dell’ampia letteratura relativa al culto dell’albero. Le affermazioni di Spera sull’origine prettamente carnevalesca dell’albero della cuccagna, evento che si sarebbe svolto a gennaio in concomitanza della festa di San Giuliano del 27, da incompetente e dilettate cultore delle tradizioni popolari, mi appaiono superficiali, non sufficientemente dimostrate e poco attentibili. Fa riferimento al XIII secolo del Medioevo e non si spinge a considerare quanto è stato scritto sul culto dell’albero introdotto dai Longobardi e proibito da Liutprando cristianizzato. Lo spirito della sua polemica mi sembra , inoltre, contraddire quanto lo stesso Spera ebbe a scrivere nel testo “Sei artisti col Maggio di Accettura “- Liantonio editore 1975
    Mi convingo sempre piu che il senso più profondo e autentico della sua origine sia stato colto dal Bronzini, di cui ritengo opportuno riferire una sua considerazione: “Esaminata criticamente, la festa del Maggio e di San Giuliano, consta di una componente precristiana ed una cristiana, che tuttavia non si elidono, bensì si integrano….È uno dei molti casi di cristianizzazione di un rito, fondato sull’antico culto degli alberi, che risale ad età preistorica e che fu vivo in Italia durante l’età medievale…un prima di cui sopravvivono forme di culti agrari, che si resero disponibili al cristianesimo, il quale le assimilò e da quelle forme partì…” ( Congedo ed.1975 p.19)
    Pietro Efner in “Chiese, Baroni, Popolo nel Cilento” scrive fra l’altro: l’uomo comune del territorio appare riflesso in una ideologia equilibrata tra valori pagani e valori cristiani, in un rapporto che fa prevalere ora l’uno ora l’altro, ma sempre dentro i simboli proposti dalla Chiesa e dai Baroni.
    Le memorie evanescenti dell’infanzia mi richiamano il clima di un simile rapporto: la domenica del Maggio, le procedure per l’innalzamento e la scalata protagonista e autonoma gestione del popolo subalterno. Il martedì festa del Santo e processionele: le autorità civili e religiose riaffemano la loro presenza e i legittimiCilento”oteri.
    Per un approfondimento di quanto è stato scritto e prodotto sui culti arborei, e non solo sul Maggio di Accettura, anche in vista della realizzazione del progettato museo, sarebbe opportuno un apposito convegno in cui le diverse interpretazioni ed espressioni trovino spazio di confronto.

  5. Cari amici di Accettura e del “Maggio”.
    L’intervento di Don Peppino è molto corretto e gli faccio i miei complimenti. Gli studi su una festa così complessa e ricca sono importanti, così come lo sono le molte testimonianze della nostra cultura lucana, sulle quali bisogna ritornare per approfondire gli studi e le ricerche storiche e antropologiche.
    Complimenti per il vostro lavoro che serve, prima di tutto, a smuovere
    considerazioni e traguardi solo parziali, su cui, mi sembra, ci si è un po’ adagiati e di cui ci si è compiaciuti.
    Il “Maggio” appartiene a tutti noi e, nel modo con cui crescono le ricerche e le conoscenze, serve a far crescere anche la nostra consapevolezza critica e capacità costante di “rileggere” la nostra storia.
    Ancora complimenti
    Vincenzo Spera

  6. Senza entrare nel merito del dibattito accademico sulla effettiva natura (albero della cuccagna o matrimonio degli alberi) del “Maggio di Accettura” , constato con piacere che finalmente si dia atto a Nicola Scarano di aver colto per primo la peculiarità di questo rito, stimolandone e promuovendone la conoscenza e l’approfondimento.

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