L’ultimo falegname chiude bottega ma non si arrende

Francesco Labbate, all’età di 80 anni, è ritornato alla casa del Padre.
Vi riproponiamo questo articolo scritto da Angelo Labbate tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno.

La passione non è scemata. All’artigiano è rimasto il gusto «di quando si lavorava a mano»

Articolo pubblicato il 14 ottobre 2010

Con il pensionamento di mastro Franco, classe 1942, ha chiuso i battenti ad Accettura la storica falegnameria Labbate, situata proprio nella centrale piazza del Popolo. «È stato mio nonno Angelo – racconta con orgoglio mastro Franco – ad aprire bottega proprio in questo locale, agli inizi del 1900. Non aveva ancora vent’anni. La madre, rimasta vedova giovanissima, aveva voluto per quel figlio unico un salto di qualità, interrompendo la secolare tradizione della sua famiglia, i Chiariello, maestri barilai di origini lauriote. Così lo mise a bottega dai Miraglia, non solo provetti mastri d’ascia, ma anch’essi profughi da Lauria, dopo che la cittadina nell’agosto del 1806 fu messa a ferro e a fuoco dal generale francese Massena.

Comincia così la storia dei Labbate falegnami; dopo mio nonno, mio padre Giuseppe e i miei zii Berardino e Biagio. Poi sono venuto io a chiudere il cerchio».
Se per la burocrazia l’attività artigianale è cessata, non si è affievolita la passione di mastro Francesco, che ha esercitato per circa 40 anni, lavorando inizialmente di braccia e gomito con seghe e pialle e dotandosi delle novità tecnologiche non appena apparivano sul mercato. Ma gli è rimasto il gusto «di quando si lavorava a mano», come ama ripetere. Quando nelle campagne si cercavano i castagni e i noci più belli per ricavarne infissi esterni e comò per le giovani spose, affidandosi a progetti elaborati dalla fantasia.

Chiuso il laboratorio, mastro Francesco non ha voluto disperdere la manualità e l’immaginazione, sperimentate i tanti anni di lavoro. Prendendo spunto dalle esigenze domestiche delle donne – personalmente vive in un harem di moglie e quattro figlie –, ha ideato e costruito una sedia, che con una semplice operazione manuale si trasforma in scaletta. Non è roba da chiodi, nemmeno lontanamente assimilabile ai prodotti del consumismo, che in poco tempo si usurano e bisogna sostituire. È un manufatto destinato a entrare nell’asse ereditario delle famiglie. Costruita in faggio stagionato e assemblata ad incastri, la sedia-scaletta pesa poco più di 8 chili e l’ultimo gradino è a 80 centimetri dal piano di calpestìo. Comoda come sedia e utile come scaletta, è un prodotto artigianale, realizzato con la maestrìa e il piacere di quando si lavorava a mano e gli oggetti sopravvivevano agli uomini e ne tramandavano il ricordo.

Angelo Labbate

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2 commenti

  1. mio padre, Accinno Donato detto il  ” Pittore”, conosceva tuo padre e mi ha spesso parlato di lui.
    Onore a tuo padre e la nobile arte da lui esercitata. ricorda chi  era e impara da lui
    il valore del vivere in comunione con gli altri. Era un simbolo del paese e io ne sono testimone vivente.
    saluti, ACCINNO GIULIANO

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