Fiera del bestiame 2017
Uno dei più importanti appuntamenti della montagna materana per la compravendita di bestiame e merci varie.
di Angelo Labbate
estratto da Paese ottobre-2010
L’appuntamento fieristico risveglia i ricordi e la nostalgia dell’antica fiera, quando il mondo era lontano anche da qui a Matera e i vicini di Pietrapertosa erano percepiti come forestieri. Allora gli acquisti più importanti, il corredo per le figlie, gli attrezzi da lavoro e per la casa, l’asino o il mulo, due lattonzoli da allevare, uno da ammazzare a gennaio e l’altro da vendere per le necessità della famiglia, si facevano alla «fiera nostra».
Il medico del paese manteneva ancora in vita l’istituto della soccida, acquistando un centinaio di maialini, che affidava in coppia ai clienti contadini. Si aspettavano i calderai di Buccino, che si fermavano per qualche giorno. Qualcuno, come zio Vincenzino Branda, sul finire del 1800, si fermò per sempre, sposò una ragazza del posto e diede vita a una delle famiglie più numerose del paese.
Erano attesi anche i fotografi, che allineavano lungo la rotabile le macchine montate sul treppiedi e scattavano la foto ricordo del matrimonio celebrato qualche mese prima e le foto-tessera per il passaporto. Il preferito era il tarantino don Attilio Tagliente, alto e secco, con due baffetti alla Salvador Dalì.
Gli sprovveduti speravano che tornassero il napoletano delle tre carte per rifarsi della perdita dell’anno prima e il venditore di sogni, l’uomo della “fortunella” estratta dal pappagallo. Puntualmente arrivava anche lo zingaro, che adescava i creduloni, gridando «La carta bianca è quella che vince».
Racconta Vincenzo Digilio che Zì ‘Ntonio, vizioso di caccia era andato a far la “posta” alla lepre e quando tornò, fucile a spalla e lepre nel carniere, si avvicinò alla folla che faceva capannello intorno allo zingaro, che muovendo tre dischetti su un tavolino,urlava: «La carta bianca è quella che vince. Uno, due, tre. Puntate!». Disponeva i tre dischetti sul trespolo con il panno verde, i suoi complici puntavano sul dischetto privo di carta bianca e perdevano. «Che ciuti», pensava zì ‘Ntonio. Egli aveva capito il gioco. Puntò e perse. Giocò di nuovo e vinse. Un alternarsi di grosse perdite e piccole vincite. Perse la testa e mise sul dischetto il portafogli con tutto il contenuto. Naturalmente, perse. Allora, zì ‘Ntonio non ci vide più. Imbracciò il fucile e lo puntò contro lo zingaro, reclamando la restituzione di tutto il denaro scommesso e perduto. La periferia del paese brulicava di greggi, di mandrie, di mercanti baresi e napoletani, che vantavano le loro merci, e di zingari che miracolosamente trasformavano un malandato ronzino in un irrequieto puledro.
Per i forestieri, i più intraprendenti allestivano punti di ristoro. Ci provò anche zì Tore. Menu fisso: pastorale e primitivo di Sava, roba da 15 gradi. Il primo cliente, di buon mattino, fu Zì Peppe, devoto di Bacco. Tracannò un quartino e sprofondò in un sonno, dal quale si riprese il pomeriggio, dimenticandosi di pagare. Per zì Tore cominciò male e finì peggio. A conti fatti, ci rimise qualche migliaio di lire. La nuova economia e la globalizzazione hanno cancellato i colori e gli odori di un passato senza ritorno. Oggi, anche la Cina è vicina ad Accettura.
Foto 2016
La cura delle tradizioni ormai è materie di pochi , per pochi. In attesa che la massa si ravveda e torni su i suoi passi. La cultura del produci, consuma, crepa , non ha storia, quindi non ha futuro . Quello che racconta la fiera di accettura, come tutte le fiere e la vita rurale in generale è storia , quindi è vita , quella vera!
Complimenti
Domenico de grandis
Una meravigliosa ed efficace documentazione di storia locale: “la fiera”. Un evento, un tempo, molto significativo e importante dal punto di vista economico, di vita sociale, di costume, di tradizione. Una rievocazione esemplare, puntuale, dell’atmosfera fieristica e di vicende e rapporti più consueti tra le persone. Senz’altro una brillante pagina di valore letterario per struttura, forma narrativa e linguaggio.