Il perchè di un’ossessione

Nel corso degli anni, ho  osservato un fenomeno quasi naturale: conoscendo gente nuova, presentandomi e parlando della mia provenienza geografica,  in un modo o nell’altro, finivo per parlare in maniera più o meno estesa della Festa del Maggio, sempre. E solo di recente ho realmente capito fino in fondo perché. Non certo per campanilismo, o per propaganda, né tantomeno per egocentrismo, o meglio etnocentrismo, come forse avranno pensato molti, impressionati da tanta concitazione e fervore nella mia voce. Ho capito che parlare del Maggio è il modo più immediato che io conosca per parlare di me stessa, e rappresentare una parte autentica di me. Quasi a dire: chi non conosce la mia Festa non può dire di conoscermi a pieno. Quell’amalgama di dionisiaco, religiosità, allegria, boschi e Santi, quel sentirsi paese, sento che tutto ciò  ha formato negli anni il mio modo d’essere, di comportarmi e vedere le cose.
È una storia di mani su un tronco, al lavoro, e al contempo di mani giunte in preghiera. È una storia lunga, è quello che dico spesso, è troppo lungo da raccontare e spiegare.

È un argomento che viene fuori con estrema facilità, parlando di un paese di qualche migliaio di anime,  sperduto e quasi in frantumi, sull’Appennino lucano. E forse ne parlo come a voler dimostrare che anche noi abbiamo qualcosa di prezioso. Eppure, per noi è più che una semplice risorsa turistica, è più che una marginale attrattiva citata proprio per voler salvare qualcosa di buono. È un appuntamento atteso e desiderato, è il fulcro della lenta e pacata vita di un villaggio, è il momento  più importante di un anno che, per il resto, scorre in paese senza esagerazioni, senza pretese.

E  quando quel momento finalmente arriva, quel nostro stringerci tutti intorno al nostro Albero  e al nostro Santo, quel nostro assurdo, unico modo di celebrare, ballando,  la natura e la vita è anche un modo per urlare al mondo chi siamo.

Tutti vengono coinvolti, invitati a mangiare, trascinati a ballare, anche i turisti e i forestieri: non lo facciamo solo per noi stessi. Ogni anno mettiamo in scena una teatrale rappresentazione corale  anche e soprattutto per gli altri, per chi non è accetturese, e forse non ci può capire.  È una grandiosa recita in cui ognuno fa la parte di se stesso.

È una delle esperienze più emozionanti che io abbia mai vissuto. E trovo incredibile che l’incantesimo si ripeta, ogni anno. Ogni primavera rifiorisce la gioia di rivivere tutto, e l’orgoglio di sentirsene parte.

Perfino, per una volta, sentirsi fortunati ad essere nati proprio lì, esattamente  dove si vorrebbe essere.

La Festa è  la nostra memoria come popolo. Passato, presente, futuro:  tutto in un respiro.

Maria Grazia Trivigno

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2 commenti

  1. Queste belle parole di Maria Grazia ci fanno ritornare indietro di qualche anno.
    Quando la nostra festa era cultura , era religione , era soltanto devozione al nostro San Giuliano.
    Ora purtroppo devo denunciare un allontanamento da tutto ciò , soprattutto da chi ci governa , che
    rimane lontano dalla promozione del nostro paese , della nostra festa ecc..
    Svegliamoci , tutto , ma veramente tutti .
    A chi ci governa se non ci credete abbandonate tutto , come il Comandante Schettino.

  2. Parole da scolpire sulla Pietra di Accettura a passata, presente e futura memoria. Accetta i miei umili complimenti per i tuoi Pensieri. Credo che molti si rispecchieranno in loro, amandoli e conservandoli. Grazie. Con affetto.
    Sandro S.

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