Il Capo del governo(Tedesco)Mappus premia il volontariato

Il governo del land Baden-Württemberg attribuisce al volontariato un alto valore sociale – sostiene il ministropresidente Stefan Mappus. Per le 6 categorie in finale ne sono arrivati 10 per categoria. In Sport e Cultura figura il connazionale Luigi Abate, originario di Accettura (Matera) ma domiciliato ad Oliveto Lucano (Matera), in Germania dal 1962.

:arrow: Intervista audio

[audio:https://www.accetturaonline.it/blog/wp-content/uploads/2011/02/abate.mp3|titles=abate]

Da quando è mondo, ogni comunità esprime solidarietà, aiuto e sostegno ai piú bisognosi.
Anche la ricca Germania, che dispone di una fitta rete di servizi sociali, ha tuttavia bisogno di cittadini disposti ad offrire una parte del proprio tempo libero a favore della collettività. Il volontariato è presente in ogni ambito della vita: sanità, protezione civile, scuole, case di accoglienza, associazioni culturali e di tempo libero.
L’elenco è lungo. Ciò che in Germania emerge, è la consapevolezza dei governanti. Un esempio è l’esecutivo del land Baden-Württemberg che nel 2003 decise di istituire un premio per associazioni, singole persone e gruppi d’interesse impegnati da anni nel volontariato contribuendo con iniziative e progetti ad aiutare le categorie sociali più deboli.

Sotto il motto “Echt-Gut” (veramente buono) 26.000 persone hanno partecipato col loro voto elettronico a determinare i primi 10 di ognuna delle 6 categorie: Sport e Cultura, Giovani intraprendenti, Impulso al volontariato, Società viva, Vita sociale, Ecologia.

Al primo di ogni categoria sono andati 2.500 euro, mentre al secondo e terzo 500 euro.
Il premio vuol essere un piccolo riconoscimento per il lavoro finora svolto ed anche una forte spinta motivazionale a continuare ad intensificare e ad allargare la partecipazione attraverso l’opera di sensibilizzazione.

Anche se non premiato, fra i primi 10 della categoria Sport e Cultura figura un italiano. Si tratta di Luigi Abate, emigrato dalla sua Accettura (Matera) nel lontano 1962.
A margine del suo lavoro in fabbrica, prima a Backnang (Stoccarda) e poi dal 1968 a Friedrichshafen (sul lago di Costanza) ha dedicato tutto il suo tempo libero alla causa dell’integrazione scolastica, culturale e sociale della comunità italiana nella società locale tedesca.

Fu volontario l’omicidio Trivigno

:arrow: Video I Fatti Vostri (Rai Due) 15.02.2011

:arrow: Intervista Maria Alicia Trivigno

:arrow: Gazzetta del Mezzogiorno 3 Feb 2011 (Angelo Labbate)

Fu volontario l’omicidio Trivigno – è la sentenza della cassazione

 

L’omicidio del giovane Rocco non va derubricato in colposo come precedentemente stabilito in Appello. Lo ha stabilito la Corte di cassazione

ROMA. La prima sezione penale della Corte Suprema della Cassazione, presidente Tittomassi, relatrice Margherita Cassano, ha annullato la sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma, che aveva derubricato in colposo l’omicidio volontario doloso di cui la sentenza di primo grado aveva riconosciuto colpevole il cittadino moldavo Ignatiuc Vasile e l’aveva condannato a 16 anni di carcere, per aver investito con un furgone e ucciso il giovane Rocco Trivigno. Il grave fatto avvenne nella capitale la notte tra il 17 e il 18 luglio 2008. Con un furgone rubato il Vasile, ad alta velocità, per sfuggire all’inseguimento della polizia, attraversò col semaforo rosso l’incrocio tra la Nomentana e viale regina Margherita, il maledetto crocevia dove solo qualche giorno prima i due giovani fidanzati Alessio Giuliani e Flaminia Giordani, a bordo di un motorino, erano stati investiti e uccisi da u n’autovettura condotta da Stefano Lucidi. Il furgone condotto dal moldavo travolse la Citroen condotta dal potentino Nicola Telesca, sulla quale viaggiavano anche i fratelli Valentina e Rocco Trivigno di Accettura. Rocco, vent’anni non ancora compiuti, studente di chimica, giovane di belle speranze, che tutti in paese conoscevano e apprezzavano, perse la vita durante il trasporto in ospedale, mentre Valentina e Nicola ancora portano i segni del grave incidente. In sostanza, la Corte Suprema, pronunciandosi sul ricorso per cassazione proposto dai genitori di Rocco, Antonio e Caterina Trivigno, rappresentati e assistiti dall’avvocato Adelmo Manna, professore di diritto penale all’Università di Foggia, in difformità dal parere del procuratore generale presso la Cassazione, che si è espresso per il rigetto del ricorso, ha annullato la sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma nella parte in cui qualificava come colposo l’omici dio, affermando che il reato debba qualificarsi come volontario a titolo di dolo eventuale. Il rinvio al tribunale di secondo grado è fatto per la modifica del titolo del reato e per la riformulazione della sanzione da applicare. Di conseguenza, la Corte di Assise di Appello dovrà uniformarsi alle indicazioni in punto di diritto della Suprema Corte. La “ratio ” di questa pronuncia va ricercata nel fatto che la fuga dalle forze dell’ordine tentata dal Vasile rappresenta sul piano dell’accettazione del rischio qualcosa di più e di diverso rispetto alla sola violazione delle norme sulla circolazione stradale. Si tratta di una decisione storica che porterà la Cassazione a rivedere i precedenti orientamenti e aprirà il cuore alla speranza nella giustizia dei familiari delle 5.000 vittime, che ogni anno insanguinano le srade italiane.
« L’odierna sentenza – commenta l’avvocato Adelmo Manna – apre nuovi scenari, perché non passa la linea, secondo la quale tutti gli incidenti stradali siano colposi. Ce ne sono anche dolosi. come nella dolorosa vicenda di Rocco Trivigno».

:arrow: Il Messaggero 3 Feb 2011 (Giulio De Santis)

Cassazione «Uccise passando col rosso Il suo è un omicidio volontario»

ROMA – Aveva ucciso un ventenne dopo essere passato con il rosso, andando ad oltre 100 all’ora. E per quell’incidente, Vasile Ignatiuc dovrà ora rispondere davanti ai giudici, dell’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Così ha stabilito la prima sezione penale della Corte di Cassazione imponendo un nuovo processo in appello a suo carico. Vasile è stato condannato in secondo grado a 8 anni e 4 mesi per omicidio colposo, per aver ucciso Rocco Trevignano il 18 luglio 2008. Lo aveva travolto con un furgone lanciato a folle velocità a un incrocio sulla Nomentana. Già i giudici di primo grado avevano stabilito che l’uomo era responsabile di omicidio volontario e che andava condannato a 16 anni di reclusione. Ma l’Appello l’aveva pensata diversamente. La stessa valutazione è stata fatta ora dagli ermellini che hanno annullato il processo di secondo grado con rinvio per la qualificazione giuridica del reato, affinché il fatto venga valutato come doloso. Anche se Vasile aspetterà il nuovo verdetto in libertà.

La sentenza è rivoluzionaria, mai in passato la suprema Corte aveva considerato che il responsabile di un incidente stradale fosse imputabile di omicidio volontario con dolo eventuale. Fino a martedì scorso la storia del processo e dell’incidente provocato da Vasile sembravano avviati a una conclusione identica ad altre vicende, come quella che ha avuto protagonisti Stefano Lucidi e le due giovani vittime, Alessio e Flaminia. Luogo dell’incidente e iter processuale sembravano correre sullo stesso binario, finché non è arrivata la decisione di ieri della Cassazione.

Vasile viene fermato dalla polizia a bordo di un furgone rubato. Terrorizzato comincia a scappare, si mette a correre alla guida dell’automezzo e attraversa senza guardare i semafori rossi. La sua fuga si ferma all’incrocio “maledetto” tra viale Regina Margherita e via Nomentana. Lo stesso dove la sera del 22 maggio del 2008 Lucidi aveva ucciso Alessio e Flaminia superando anche lui l’incrocio con il rosso, a 100 all’ora. Stavolta a varcare il bivio è la Citroen nera con a bordo Rocco Trevignano, 20 anni, e altri tre suoi amici. L’impatto è tremendo. Rocco muore mentre gli altri tre ragazzi si salvano per miracolo.

La condotta degli imputati dei due casi viene valutata nello stesso modo in primo grado, quando la condanna arriva per omicidio volontario. In appello le pene vengono dimezzate, dopo la decisione dei giudici di derubricare l’accusa in omicidio colposo. Nel caso di Lucidi viene confermata la sentenza a 5 anni per omicidio colposo. Mentre per Vasile, gli ermellini scelgono un’altra strada annullando la sentenza e rinviandola ai giudici di secondo grado per valutarla più severamente. Entro 30 giorni arriveranno le motivazioni. «È probabile che la Suprema corte – è il commento del difensore di parte civile, professor Adelmo Manna – abbia fatto una distinzione sul tipo di incidenti, che non possono essere tutti uguali».

:arrow: Il Messaggero 3 Feb 2011 ( Carlo Mercuri)

L’avvocato di parte civile: con quella guida spericolata sapeva di poter uccidere

ROMA – «E’ un passo di civiltà», esclama l’avvocato Gianmarco Cesari. L’avvocato Cesari è il legale “storico” dell’Associazione familiari vittime della strada e in tale veste ha seguito tutti i grandi processi degli ultimi dieci anni. «Io ci speravo, in questa sentenza della Cassazione – commenta – Dopo il giudizio di secondo grado che derubricò il delitto di Vasile in colposo mi sentii indignato. Ora la Cassazione ha ristabilito l’equilibrio, dando una lettura diversa del crimine stradale. Ora il dolo eventuale potrà finalmente essere applicato all’incidentalità stradale. Abbiamo vinto una battaglia contro l’indifferenza dei magistrati rispetto al problema». Cesari è un torrente in piena e continua: «Nel 2002 si davano pene risibili ai pirati della strada, sei mesi, un anno al massimo. La sentenza di oggi è il frutto di un lavoro nelle aule di giustizia che dura da anni».

L’andamento del processo Vasile, fino al gradino prima della rivoluzionaria sentenza della Cassazione, aveva ripercorso le tappe dell’altro grande processo per incidentalità stradale, quello contro Stefano Lucidi, il trentacinquenne che investì e uccise i due fidanzati Alessio Giuliani e Flaminia Giordani. Tutti e due gli incidenti nel 2008, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro; tutti e due a Roma e quasi nello stesso posto, l’incrocio tra via Nomentana e Viale Regina Margherita; per tutti e due i processi lo stesso andamento: una prima condanna elevata (dieci anni a Lucidi, sedici a Vasile), poi un dimezzamento della pena nel successivo grado di giudizio (cinque anni a Lucidi, otto a Vasile). Prima il riconoscimento di omicidio volontario, poi il derubricamento in omicidio colposo: è quasi un classico. Per anni ci si è interrogati sulla riconoscibilità della linea d’ombra tra dolo eventuale e colpa cosciente. E’ il confine sdruccioloso tra volontarietà e involontarietà del crimine. «Il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento», dice la legge. E per la legge, secondo l’avvocato Cesari, «Vasile conduceva ad alta velocità un furgone di grandi dimensioni, che lo convinceva della sua incolumità». Perfettamente cosciente dunque di poter ferire e di uscirne indenne.

Chi plaude alla pronuncia della Corte di Cassazione è anche la Fondazione Ania, che negli ultimi anni è stata sempre in prima fila nelle battaglie per innalzare il livello della sicurezza stradale. Dice il presidente Sandro Salvati: «Certe condotte di guida causano alcuni tra i più gravi delitti che avvengono oggi. Penso che sia giusto che, in taluni casi, si configuri l’ipotesi di dolo eventuale vista la gravità sociale, umana ed etica degli incidenti stradali».

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Finalmente!

commento inviato il 04-02-2011 alle 11:42 da scorpiorosso

no al garantismo

basta con questo garantismo spicciolo che si rende correo di una strage quotidiana, in nome di cosa spiegatemelo voi.

commento inviato il 04-02-2011 alle 09:48 da gpcara

23:10 da pierpapaolo

“Vitt, allora vai e ammazzalo, visto che hai le certezze…
…ce le hai? Hai in mano le carte? Hai visto tutto? Consoci tutto?
O spari messaggi sul blog e basta?”_______________Io commento ciò che è scritto nell’Articolo……dopo aver letto, si deve anche capire, e trarre un giudizio obiettivo.

commento inviato il 04-02-2011 alle 08:44 da vitt

pierpaolo

è ovvio che secondo la legge una persona è innocente fino all’ultimo grado di giudizio ma è altrettanto ovvio che in caso di flagranza del reato c’è poco da invocare la propria innocenza. Un conto è essere assolti per un cavillo giuridico o un errore formale, un altro per non aver commesso il fatto. C’è un bella differenza no?

commento inviato il 04-02-2011 alle 07:48 da Andrea Roma

se ci fosse…..

……uno straccio di governo che invece di incolpare i magistrati facesse delle leggi fatte con criterio, specie per questo genere di cose, e se fossero dati gli strumenti alle forze dell’ordine per poter intervenire e prevenire questi e altri crimini, anzi di giocare a fare leggine ad personam per quel loro padrone, e per poter permettersi sperperare i soldi a p@@@@ne tagliando solo i fondi per i servizi, perchè tanto a loro non servono………………forse tante di queste disgrazie potrebbero essere evitate……………….e invece continuiamo a taglliare……….

commento inviato il 04-02-2011 alle 07:18 da mariuzzo

Il Codice della Strada…

…lo conoscono pochi.
Infatti già oggi a chi viene sorpreso a guidare in stato di ebrezza viene confiscata l’auto.
Ma siamo sicuri che basta irrogare sanzioni esemplari a chi uccide?
Proprio ieri pomeriggio ad un passa da piazza Re di Roma è morta, investita, una signora in bicicletta, l’incidente è accaduto ad un passo da casa mia. Come tutti mi fermo a commentare, poi vado alla fermata del bus 87 in via Etruria, a Don Orione direzione Colli Albani. Arriva il bus e senza nessun motivo si ferma a tre metri dal marciapiedi, nello spazio lasciato per sciatteria dall’autista si infila un signore molto anziano in motorino che sfiorando i passeggeri che scendevano dal bus passa oltre. E se avesse investito qualcuno? Da notare che nel quartiere Appio Latino gli ausiliari ATAC regolarmente multano i veicoli in sosta nello spazio delle fermate dei bus, qualcuno controlla se gli autobus accostano ai marciapiedi o i ciclomotori (e le biciclette) sorpassano veicoli nella stessa corsia e senso di marcia?

commento inviato il 04-02-2011 alle 00:16 da marco.55

In UK applicano il codice penale

In UK si fermano alle strisce pedonali, per esempio. Non parliamo quindi del passaggio con il rosso. Se investi un pedone, applicano il codice penale e il carcere non te lo toglie nessuno. Questo è sicuro, anche se sei incensurato, anche se non eri drogato.
Non si scherza davvero. L’auto è come un arma: con un uso improprio puoi uccidere: e’ quindi tua responsabilità prendere tutte le precauzioni per evitarlo

commento inviato il 03-02-2011 alle 23:39 da Flavio78

Vitt, allora vai e ammazzalo, visto che hai le certezze…

…ce le hai? Hai in mano le carte? Hai visto tutto? Consoci tutto?
O spari messaggi sul blog e basta?

commento inviato il 03-02-2011 alle 23:10 da pierpapaolo

Finalmente

Era ora che il passaggio con il rosso e l’incidente di questo tipo, fosse omicidio volontario!!!!!!! Passaggio con il rosso, multa di 1000 e. Controsenso, 500 e di multa. Guida sotto l’ effetto di stupefacenti ed alcol, 5000 e di multa e sequestro autovetture con deposito giudiziale. Alla seconda volta, sospensione patente x 5 anni. Terza volta, ritiro patente x sempre. Sai quanti si calmerebbero alla guida …….

commento inviato il 03-02-2011 alle 23:00 da Ombra1978

20:42 da spada:

“Vasile Antonio o Silvio sono innocenti fino al giudizio”?????????_______Questo Vasile, era alla guida di un furgone Rubato, è passato con il rosso ad oltre 100 km all’ora, e sarebbe innocente fino al giudizio definitivo?????? Ma fammi il piacere!!!!!!!!!!

commento inviato il 03-02-2011 alle 22:59 da vitt

conoscere prima

pietà per le vittime,ma il diritto creativo comincia ad essere esagerato,E.Burke nel 700 scrisse:”per quanto attiene alle leggi umane, dove comincia il mistero lì finisce la giustizia . Non è facile dire se hanno fatto miglior affari, grazie ai misteri, i dottori in legge o i teologi. I giuristi, proprio come i teologi, hanno contrapposto alla ragione naturale un’altra ragione; e, come risultato, si è avuta un’altra giustizia ,opposta a quella naturale. Hanno sconcertato il mondo intero e se stessi con insensate formalità e rituali,reso complicate le cose più semplici con gergo metafisico, al punto che ,per chi non appartiene alla lor professione ,muovere anche un sol passo senza la loro assistenza costituisce un grandissimo pericolo”.Non è cambiato nulla,ma,insomma,i nostri diritti avremmo diritto di conoscerli,non in tribunale,ma prima,nella vita.

commento inviato il 03-02-2011 alle 22:26 da danilus

la repubblica delle banane

è un classico che chi ha i soldi (leggi lucidi e vernarelli) la fa franca e il poveraccio paga per tutti…che pena.
Buttare la chiave per tutti, solo così si possono fermare questi assassini.
Senza considerare che la condotta di chi guida in stato di ebrezza o drogato è più grave perchè coscientemente decide di alterare le proprie capacità, lo dice anche il codice penale!!

commento inviato il 03-02-2011 alle 22:14 da marcoangelelli

Giustizia di Pulcinella

Ormai siamo al ridicolo : uno ammazza la moglie a calci in testa e i Giudici gli rubricano l’ Omicidio Preter-Intenzionale
Se un folle passa col rosso e uccide un pedone, gli contestano l’ Omicidio Volontario
E ovvio che c’è più VOLONTA’ di ledere nel primo caso
Ma dove studiano i Giudici Italiani ?

commento inviato il 03-02-2011 alle 21:30 da queimada

alleluja

A quanto pare, la tutela tutta ideologica e completamente fuorilegge degli assassini al volante, comincia a non essere più sostenibile. La casta dei togati cerca di battere in ritirata.
Si tratta di una sentenza importante perchè emessa dalla Cassazione, un giudizio di legittimità che avrà conseguenze anche su altri casi, ma il problema di fondo rimane: perchè i magistrati che rifiutano di applicare la legge sul dolo eventuale ai pirati della strada non vengono licenziati e incriminati? La discrezionalità del giudice non contempla il diritto di ignorare precisi articoli del codice penale. Se stiamo qui a rallegrarci perchè, per la prima volta in decenni, la Cassazione ha accettato di applicare la legge, vuol dire che lo stato di diritto non esiste. E vuol dire anche che non ci si può giudicare da soli.

commento inviato il 03-02-2011 alle 21:12 da fuochista

Vasile Antonio o Silvio sono innocenti fino al giudizio

definitivo, tutti e tre.
Antonio e Silvio possono scappare anche loro in ogni momento specie Silvio che ha tanti soldi qui e all’estero.
Se il giudice ritiene ci sia la possibilità di fuga può togliere il passaporto e ricorrere anche alla prigione.
La vedo incarognito con Vasile e sempre molto dolce con Silvio a cui mi sembra sempre disposto a concedergli 20 livelli di giudizio!

commento inviato il 03-02-2011 alle 20:42 da spada

Caro Matthias i tuoi dubbi sull’intendere e volere sono

le mie certezze.
Non vedo perchè debbano ridurre la capacità di intendere e volere se uno usa un coltello o la pistola e diventano un’aggravante in auto.
Oggi se hai notato nessuno o quasi si ferma in caso d’incidente, solo una decina d’anni fa ci si scandalizzava per i pirati che c’erano ma erano molto meno. Quanto tutto ciò dipende dalla paura dell’inasprimento della pena che ha portato l’omicidio conl’auto a livello di volontario?
Tra i due fenomeni c’e’ certo una relazione temporale e sarebbe bello valutare quanti morti si potrebbero evitare se la gente si fermasse. La gente va in auto per andare a spasso, per andare a lavorare e per mille altri motivi, e la mia esperienza di guidatore che non ha mai avuto incidenti mi dice che sebbene ho avuto fortuna, ho saltato stop e non visto semafori e non ho mai voluto ammazzare qualcuno! Vorrei capire quanti tra i tanti moralisti non hanno mai saltato stop o semafori!
Altra ragione di imbarbarimento nel comportamento stradale e senz’altro il bonus-.malus che ha fatto sparire l’abitudine civile di lasciare il n. di targa e telefono a chi ti ammacca l’auto in parcheggio o fa scappare chi ti viene addosso per strada!

commento inviato il 03-02-2011 alle 20:35 da spada

Un altro caso che conferma

I poteri immensi dei giudici che possono sentenziare a loro piacimento pur in presenza di casi con connessione totale oggettiva.La coppia che investì due ragazzi giovanissimi,che passò con il rosso,che andava ad oltre 100 km orari nella città di Roma e che non si fermò nemmeno dopo averli scaraventati a terra uccidendoli,ha addirittura avuto uno sconto di pena e non sono stati incolpati di omicidio volontario ma colposo.
Delle due l’una:bisogna punire questi giudici oppure i loro colleghi che si sono espressi diversamente?
Questa pacchia deve finire con una bella riforma della magistratura e ciò indipendentemente da chi la farà.

commento inviato il 03-02-2011 alle 19:46 da vincenzo51

ohhh….

lo vedete che se volete ragionate, questo è quello che vogliamo.
RISPETTO PER LA VITA

commento inviato il 03-02-2011 alle 19:33 da umbertone58

Finalmente!!!

Ora si comincia a ragionare!!Chi si mette al volante e va a tutto gas solo per sentirsi “fico” o per arrivare 5 secondi prima,oppure e’ “fatto”o ubriaco, sa benissimo che l’auto puo’diventare un’arma per uccidere.
E mi auguro che questa nuova valutazione del reato si possa applicare anche ad alcuni casi gia’dibattuti(vedi i 2 “figli di papa’”Lucidi e Vernarelli.).

commento inviato il 03-02-2011 alle 19:20 da Fabio

Speriamo che poi, in Appello non si ricominci di nuovo…

Non so quanta differenza ci sia tra chi attraversa un semaforo rosso perché inseguito e un altro perché ubriaco o drogato.
Non vorrei che la motivazione sia che un ubriaco o drogato sia, in quel momento, incapace di intendere e di volere, mentre un ladro di furgoni intende tutto perfettamente…
Se così fosse sarebbe una specie di licenza di uccidere, perché è sicuramente più facile incappare in un drogato e/o ubriaco piuttosto che in un ladro…
Speriamo non sia così, aspettiamo la sentenza.

commento inviato il 03-02-2011 alle 19:09 da Matthias

“vasile viene fermato dalla polizia a bordo di un furgone rubato.

“Vasile aspetterà il nuovo verdetto in libertà.”……………………e sarà cosi’ fesso da non tagliare la corda????????

commento inviato il 03-02-2011 alle 19:08 da vitt

era ora

io guido da 40 anni e piu ma non ho mai guidato ubriaco o sotto droghe.capisco quando capitano incidenti e in tanti anni ho tamponato per distrazione e fortuna andavo pianissimo.
ma se la gente si ubriaca o si droga e “ammazzano ” persone siamo davanti ad omicidio volontario !!
e devono andare in galera e tutti devono sapere che si paga caro questi orrori !!
giusta sentenza e devono pubblicizzarla moltissimo in modo che tutti devono sapere a cosa vanno incontro !!!non sono disgrazie !!!
quindi droga-alcol-guida spericolata-corse su strada etc legati ad incidenti -=galera minimo 15 anni !!!!!!

commento inviato il 03-02-2011 alle 18:45 da luigizinni

è vero.. gli incidenti, che non possono essere tutti uguali..

ci sono quelli fatti dai comuni mortali e quelli fatti dai figli di papà.
questo disgraziato, per cavarsela, doveva dimostrare stupore e stupore quando è accaduto l’incidente… come fece stefano lucidi..

commento inviato il 03-02-2011 alle 17:54 da Carlo59

Finalmente un po’ di giustizia!

Non si può morire a vent’anni (né a nessun’altra età, a dire il vero) perché qualcuno decide di bruciare un semaforo ad alta velocità. E’ più che evidente che l’atto è del tutto assimilabile a quello di chi punta una pistola e spara (anzi, in quest’ultimo caso c’è un margine di probabilità in più di non centrare il bersaglio…). Quindi la Cassazione ha semplicemente applicato il più comune buon senso. Speriamo che l’esempio si estenda e diventi la regola,e che si aggiunga un’aggravante nei casi in cui l’omicida sia drogato o ubriaco. Sarà un po’ dura per chi c’incappa, ma del resto se lo è cercato, e altre vite di innocenti non saranno sacrificate.

commento inviato il 03-02-2011 alle 17:50 da Olegan

Finalmente…

E’ ora che questo tipo di omicidi venga valutato come omicidio volontario, soprattutto per chi uccide guidando ubriaco e/o strafatto!

commento inviato il 03-02-2011 alle 17:45 da ArminGS

era ora……..

era ora, ma cio’ deve valere anche per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti

commento inviato il 03-02-2011 alle 17:43 da walter

giustizia in 256 toni di grigio
dai che tra un po’ andiamo in technicolor

commento inviato il 03-02-2011 alle 17:36 da paciolifr

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Un Accetturese: Domenico Dimilta


Domenico Dimilta nato ad Accettura il 2 marzo 1949 da Dimilta Pasquale e Perretti Caterina, lascia Accettura nel 1960 per Monsummano Terme (PT), dove vi abita  dal 1960 al 1968.
Dal 1968 vive a Pistoia, mantenendo costanti relazioni con la folta comunità di accetturesi che già dagli anni sessanta popola la cittadina di Monsummano, distante appena undici  chilometri dal capoluogo Pistoia.
Negli anni settanta inizia l’attività di insegnante nella scuola media. Attualmente docente titolare presso la Scuola Media “Frank-Marconi” di Pistoia.
Fin  dalla  metà degli  anni settanta si dedica all’attività sindacale in ambito scolastico, divenendo uno dei principali animatori dello SNALS, il forte  sindacato della scuola. Nel 1991 assume la carica di Segretario Provinciale dello SNALS di Pistoia.In seguito, nella prima metà degli anni novanta, entra a far parte della struttura nazionale del
sindacato, con l’elezione a membro del Consiglio Nazionale dello SNALS .
Assume ulteriori impegni negli organi nazionali del sindacato, con l’elezione a componente del Comitato Centrale, organo direttivo dello SNALS .
Dal 2001 fa parte del Consiglio Generale della CONFSAL, la Confederazione sindacale nazionale alla quale lo SNALS appartiene.  Dallo stesso anno svolge,  per metà della
settimana,  l’attività  sindacale a Roma, quale componente della Segreteria Nazionale della CONFSAL, nella quale si occupa del giornale della confederazione, anche in qualità di
membro del Comitato di redazione del periodico della CONFSAL.
Oltre che a Pistoia e a Roma, svolge una parte dell’impegno sindacale a Firenze, ove ricopre il ruolo di Segretario Regionale CONFSAL della Toscana.

Pagine dal..PAESE

Pag. 42 – Accettura, la dimensione parallela – Lettera da Milano _ Maria Grazia Trivigno »

Ottobre. La città prosegue anche oggi la sua distratta, frenetica corsa contro il tempo e contro il traffico, non è un giorno diverso da ieri, né dagli altri giorni. Appena sveglia, mi sono ricordata che oggi ad Accettura è la Fiera. Ebbene, la magia di essere accetturesi sta proprio in questo: la banalità di un giorno qualsiasi rivela all’improvviso che altrove è un giorno diverso, ha luogo un evento, qualcosa di cui rallegrarsi. A quale accetturese lontano non è capitato? Se non con il corpo, almeno con il pensiero tutti gli accetturesi sono sempre presenti a ciò che accade in paese. Questo perché l’accetturese porta con sé la scansione ciclica dell’anno che è propria di un mondo agropastorale quale è Accettura.

1°ottobre, ’a Fer. Sono anni che non sono presente, ma ricordo che da bambina era la Fiera, non solo la più grande dell’anno, ma la fiera degli animali – ricchezza tanto grande per il contadino allevatore – esposti in bella mostra verso ’u Tratt’r, ricordo ancora quando la maestra ci portò a vederli; in paese, molte bancarelle, tra cui quelle di animali domestici di piccola taglia, di ogni tipo, tartarughe, bengalini, canarini, pesci.

Chi da bambino non ha mai comprato un animaletto alla Fiera? Per me furono, in seconda elementare, un diamante mandarino e un passero cinese, che hanno vissuto per ben 10 anni grazie alle amorevoli cure di mio padre.

Basta poco per essere ad Accettura con la mente: ecco per la strade l’odore penetrante del mosto, frutto della recente vendemmia; nell’aria, inconfondibile e nettamente percepibile inizia a sentirsi l’odore del fumo dei camini, odore di inverno.

È tempo di castagne: arrostite sul fuoco nda varol, ineguagliabili. Qui a Milano mi accontento di metterle miseramente in forno, ma il sapore è diverso, diversa la cottura, troppo pulite, niente cenere!

Come non ricordare, poi, il 13 Dicembre, giorno di Santa Lucia, che ad Accettura si prepara ’a rapposc’n! (zuppa di cereali, preparata solo in questa occasione).

Allo stesso modo scandito è Gennaio, mese in cui si ammazza il maiale, con tutto quello che ne segue. Era, in tempi trascorsi in cui regnava la miseria e la fatica, una vera festa in tutte le case, rito non del tutto abbandonato: si prepara la salsiccia, quella magra, quella grassa e quella del pezzente, le magnifiche soppressate, le ventresche, la sugna; del resto, del maiale non si butta via niente.

Il giorno 16, Sant’Antùn, la mente va ai fuochi che, come stelle, si accendono a sera nei vari rioni, occasione per una cena di vicinato, mentre nell’aria risuonano i campanacci. Il 27 Gennaio, poi è il Suo giorno: san Giuliano è portato in processione; giorno che porta con sé una benedizione anche per ogni accetturese lontano, su cui san Giuliano allunga la sua mano protettiva, invocato ed evocato da santini e raffigurazioni sempre presenti nelle case, nelle tasche, nelle auto.

Febbraio porta con sé il Carnevale, con il giovedì e il martedì grasso, poi le Ceneri, ed ecco arrivare Quaremma zinzilosa. Pasqua, con pasticci e soprattutto ’a cu’lombr. E, dopo Pasqua, tutto è una proiezione verso la ragione di un anno di attesa: la scelta del Maggio, la scelta della Cima, il Giovedì di Ascensione. Quante volte telefonicamente ho ascoltato la frenesia dei tammrrid il giorno del taglio del Maggio! La nostra è una vera malattia. Contiamo i giorni, in attesa del ritorno a casa, attesa per l’evento, attesa di ritrovare tutti.

E finalmente ecco il Maggio di San Giuliano, a cui non si può mancare per nulla al mondo: il solo evocarne il nome trasmette un brivido di commozione ad ogni compaesano. Tutti intorno a me, in questo mondo così lontano, non riescono a capire, all’inizio, perché all’incirca da una settimana prima di Pentecoste entro in uno stato di esaltazione; poi però lo hanno capito anche loro – ah già, è arrivata quella vostra festa pazzesca di alberi e santi.

Spesso sono tradizioni che nel corso del tempo hanno perso la loro vitalità, che si sfumano nel ricordo del passato; altre sono molto più vive, vibranti, attuali, come la festa Maggio. Resta, tuttavia, il dato di fatto che questa dimensioneparallela accomuna tutti gli accetturesi, e ci rende diversi da chi accetturese non è, da chi non immagina quanto curioso sia il nostro mondo.

Ecco perché sono convinta che essere accetturesi sia prima di tutto una forma mentis, un modo di guardare alla realtà, di scandire la propria esistenza: ovunque si trovi, a Milano come a Bari, a New York come a Roma, l’accetturese porta sempre dentro di sé, fatalmente, un universo di tradizioni, ricordi, emozioni, odori e sensazioni, che gli permettono di avere sempre uno spiraglio sulla dimensione parallela: la sua Accettura

Pag. 6 – Vedere l’erba dalla parte delle radici _ Isabella Cosentino Ferruzzi »

Il primo capitolo della nostra storia americana risale agli inizi del secolo scorso, più di cento anni fa. Si sapeva, tramite un vecchio certificato di matrimonio, che i nonni paterni si

sposarono nel 1910 nella zona di Little Italy. Solo nel 2003, indagando sul sito di Ellis Island, sono finalmente riuscita ad avere un quadro più completo dell’ emigrazione dalla Basilicata di nonno Rocco Ferruzzi e nonna Isabella Romano.

Il nonno, nato a Cirigliano nel 1880, arrivò a New York nel 1904; la nonna, nata ad Accettura nel 1890, arrivò nel 1909. Da quel momento è nata l’idea di organizzare, assieme ad altri nipoti Ferruzzi, un viaggio in Basilicata in cerca delle nostre radici. Finalmente nel 2009 ho deciso di intraprendere le necessarie ricerche per poter realizzare il nostro sognato viaggio. Fra i vari tentativi di trovare ulteriori informazioni sui nostri antenati, ho scritto un messaggio sul sito del comune di Accettura: «Sto cercando possibili parenti in Basilicata…».

Fortunatamente queste parole verranno lette da un certo Angelo Labbate, che infatti diventerà il nostro angelo, agevolando le nostre ricerche e fornendo dettagli e informazioni inaspettati e commoventi. Appena arrivati in Basilicata, dopo essere atterrati a Bari, la salita per raggiungere Accettura mi sprona a immaginare com’era difficile spostarsi cento anni fa. Cercavo di immaginare la forza che ci voleva per superare gli ostacoli fisici, psicologici e finanziari avviandosi verso un futuro del tutto nuovo e incerto.

Percorrendo le stradine che portano a Stigliano, Pietrapertosa, Cirigliano e altri paesini ci meravigliamo della bellezza naturale; ci fanno impressione gli stupendi panorami  composti da vasti limpidi cieli e sconfinate pendici verdeggianti.

È stato bello vedere la casa Romano in Vico 1º Casalnuovo e parlare con un anziano signore, Domenico Scavetta, che conosceva la zia Teresa, soprannominata ’Santandrea’.  Così, dopo aver sentito parlare della bella Teresa dagli occhi blu, abbiamo potuto chiarire le circostanze, alquanto tragiche, dell’unica sorella Romano rimasta ad Accettura.

Domenica, 23 maggio, andando verso Potenza per incontrare per la prima volta nostra cugina, Carmela, nipote di Zia Teresa Romano, un vigile ci segnala di tornare indietro. La strada è chiusa per il trasporto del Maggio. Fortunatamente, decidiamo di aspettare finché la processione sarebbe passata. Partecipiamo in pieno all’allegria di questa bellissima tradizione. Incontriamo due calciatori inglesi di Nottingham e ci spiegano il motivo delle camicie inzuppate di vino. Mentre suona una musichetta allegra di fisarmonica, mia cugina, Dianne, fa quattro salti in strada con un cavaliere casuale. Non avremmo mai immaginato un’esperienza del genere!

Passata la sfilata, si riprende la strada per Potenza. Grazie alle agevolazioni di Angelo, riusciamo a conoscere i nostri cugini, Carmela, suo marito Rocco e il loro figlio, Luciano.  Mangiando, bevendo e chiacchierando, passiamo una bellissima serata insieme.

Il 27 maggio, ci avviamo per Cirigliano. Arrivati alla Casa Comunale, conosciamo il sindaco, Tommaso Romeo, e gli chiediamo di vedere l’atto di nascita del nonno. Passando in un altro ufficio, un’impiegata, afferra un grosso libro e ci fa vedere una pagina che ci commuove profondamente.: Rocco Ferruzzi, nato 22 marzo 1880, di padre Giuseppe Ferruzzi e madre Antonia Angerame. Finalmente, la conferma del luogo natio di nonno Rocco e i nomi dei bisnonni.

L’Agente della Polizia Municipale di Cirigliano, Enzo Ragone, gentilmente ci accompa fuori e fermandoci davanti al municipio scambiamo due parole. Ci colpisce la simpatia che prova nei nostri riguardi ed esprime il suo grande rispetto per gli emigrati italiani nel mondo. Mi sembra un po’ insolito, ma allo stesso tempo soddisfacente sentire questo legame stabilirsi nell’arco di pochi minuti. Girando i vicoli di Cirigliano, osserviamo qualche anziana seduta al portone di casa e oltre il Palazzo Baronale incontriamo tre vecchietti che camminano a stento con l’aiuto di un bastone. Accanto all’ufficio postale c’è un belvedere spettacolare. Poi, fermandoci in un parco, ci mettiamo a leggere i nomi delle vittime

del primo e secondo “conflitto mondiale”.

Notiamo dei nomi familiari: Filippo Fortuna e Giuseppe Montano. In America, la zia Antonietta, figlia della nonna Isabella Romano, sposò un certo Filippo Fortuna e zia Carmela, sorella di Antonietta, sposò un certo Frank Montano. Saranno parenti? Chissà! Ora imbocchiamo la strada per andare al ristorante del paese, Il Mulino, e ci sembra di essere

in un’altra epoca, più moderna e movimentata. Superiamo la scuola elementare e ci troviamo subito al ristorante. Gustiamo un ottimo pranzo di ravioli ai funghi porcini, radicchio, pomodori e grigliata mista. I nostri palati, abbastanza esigenti e non americanizzati, sono rimasti più che soddisfatti.

Abbiamo gradito le nostre avventure gastronomiche ovunque approfittando dell’opportunità di assaggiare prodotti locali, fra cui fave, cicoria, luganega e, in particolare, i peperoni cruschi. Dopo aver mangiato peperoni cruschi a Potenza, Accettura e Matera, abbiamo potuto finalmente apprezzare l’usanza dei nonni di appendere i cruschi in cantina nella casetta del New Jersey.

Come potrei esprimere in pochi righi la nostra esperienza in Basilicata? Anzitutto, direi che è una zona di straordinaria bellezza, finora sottovalutata, ricca di storia, arte e tradizioni.

Partecipando alla meravigliosa Festa del Maggio ad Accettura e visitando il Tempio di Metaponto, i Sassi e il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata del Palazzo Loffredo a Potenza, abbiamo appena cominciato a capire le proporzioni del ricchissimo patrimonio della regione e ci rendiamo conto che bisogna assolutamente ritornare per continuare le nostre “ricerche” sia culturali sia genealogiche.

Grazie in particolare a Angelo Labbate, Vito Catalano, Giovanni Trigona e la famiglia Stano per la loro amicizia e ospitalità.

Pag. 30 – La fiera dei ricordi _ Angelo Labbate »

Per incentivare la zootecnia e rispondere alle esigenze dei oltre settanta piccoli allevatori, torna la mostra-mercato degli animali da reddito, in programma il primo ottobre. «Non è  un’operazione sentimentale – dice l’assessore alle attività produttive Giuliano Labbate – o il tentativo di risuscitare la vecchia fiera di merci e bestiame, una delle più importanti del territorio, che si svolgeva i primi tre giorni di ottobre. La mancaqnza di una campionaria obbligava gli allevatori a svendere i frutti dei loro sacrifici, prodotti di eccellenza, come i circa 2.500 bovini di razza podolica e gli oltre 3.500 capi ovi-caprini, allevati nei profumati pascoli di montagna. Abbiamo riservato un settore della campionaria alle macchine agricole,  perché è in atto una ripresa dell’agricoltura. Per l’occasione, per valorizzare la cucina del passato, sarà preparata, per la degustazione, la “pastorale”, un piatto tradizionale dei  pastori, carne di pecora o di capra, condita col grasso che si scioglie durante la cottura».

L’appuntamento fieristico risveglia i ricordi e la nostalgia dell’antica fiera, quando il mondo era lontano anche da quì a Matera e i vicini di Pietrapertosa erano percepiti come  forestieri. Allora gli acquisti più importanti, il corredo per le figlie, gli attrezzi da lavoro e per la casa, l’asino o il mulo, due lattonzoli da allevare, uno da ammazzare a gennaio e  l’altro da vendere per le necessità della famiglia, si facevano alla «fiera nostra».

Il medico del paese manteneva ancora in vita l’istituto della soccida, acquistando un centinaio di maialini, che affidava in coppia ai clienti contadini. Si aspettavano i calderai di  Buccino, che si fermavano per qualche giorno. Qualcuno, come zio Vincenzino Branda, sul finire del 1800, si fermò per sempre, sposò una ragazza del posto e diede vita a una  delle famiglie più numerose del paese.

Erano attesi anche i fotografi, che allineavano lungo la rotabile le macchine montate sul treppiedi e scattavano la foto ricordo del matrimonio celebrato qualche mese prima e le  foto-tessera per il passaporto. Il preferito era il tarantino don Attilio Tagliente, alto e secco, con due baffetti alla Savador Dalì.

Gli sprovveduti speravano che tornassero il napoletano delle tre carte per rifarsi della perdita dell’anno prima e il venditore di sogni, l’uomo della “fortunella” estratta dal  pappagallo. Puntualmente arrivava anche lo zingaro, che adescava i creduloni, gridando «La carta bianca è quella che vince».

Racconta Vincenzo Digilio (dello stesso autore vedi racconti a pag. 22)che Zì ‘Ntonio, vizioso di caccia era andato a far la “posta” alla lepre e quando tornò, fucile a spalla e lepre nel carniere, si avvicinò alla folla che faceva capannello intorno allo zingaro, che muovendo tre dischetti su un tavolino,urlava: «La carta bianca è quella che vince. Uno, due, tre.  Puntate!». Disponeva i tre dischetti sul trespolo con il panno verde, i suoi complici puntavano sul dischetto privo di carta bianca e perdevano. «Che ciuti», pensava zì ‘Ntonio. Egli  aveva capito il gioco. Puntò e perse. Giocò di nuovo e vinse. Un alternarsi di grosse perdite e piccole vincite. Perse la testa e mise sul dischetto il portafogli con tutto il contenuto.  Naturalmente, perse. Allora, zì ‘Ntonio non ci vide più. Imbracciò il fucile e lo puntò contro lo zingaro, reclamando la restituzione di tutto il denaro scommesso e perduto. La periferia del paese brulicava di greggi, di mandrie, di mercanti baresi e napoletani, che vantavano le loro merci, e di zingari che miracolosamente trasformavano un malandato ronzino in un irrequieto puledro.

Per i forestieri, i più intraprendenti allestivano punti di ristoro. Ci provò anche zì Tore. Menu fisso: pastorale e primitivo di Sava, roba da 15 gradi. Il primo cliente, di buon mattino, fu  Zì Peppe, devoto di Bacco. Tracannò un quartino e sprofondò in un sonno, dal quale si riprese il pomeriggio, dimenticandosi di pagare. Per zì Tore cominciò male e finì peggio. A  conti fatti, ci rimise qualche migliaio di lire.La nuova economia e la globalizzazione hanno cancellato i colori e gli odori di un passato senza ritorno. Oggi, anche la Cina è vicina ad Accettura.

Pag. 24 – Ricordi e fatterelli del paese della mia giovinezza _ Vincenzo Digilio »

Pittore, scrittore e uomo di scuola, Vincenzo Digilio è nato ad Accettura al Borghetto, l’attuale via Marconi, il 14.09.1903, da Girolamo, sarto, e da Domenica Ferri, casalinga. Nel corso di una vita lunga e laboriosa ha prodotto un imponente numero di opere pittoriche, ha pubblicato  diversi libri di vario soggetto, ha collaborato per oltre trent’anni (1940-1976) con scritti e riproduzioni di suoi paesaggi romani alla prestigiosa  “Strenna dei Romanisti”, di cui è stato uno dei fondatori; ha collaborato inoltre a numerose riviste di pedagogia e a quotidiani. Sue opere fanno parte, oltre che di numerose collezioni private, delle collezioni della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio, del Ministero della Pubblica Istruzione, di Comuni, dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (Facoltà di Magistero), dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Ha pubblicato volumi di poesie, di fiabe e narrativa per l’infanzia, di scritti dedicati ai problemi dell’educazione dei fanciulli all’arte: Storie divertenti (Fiabe lucane), Ed. Giglio, Roma 1949; Scrittori e libri per fanciulli, Ed, La Bodoniana, Palermo 1953; L’arte figurativa nella scuola elementare, Ed. F. Le Monnier, Firenze 1959; Avevo due cervelli?, Ed. Fratelli Palombi, Roma 1959; Otto poesie del mio diario in versi, Tip. Rotatori, Roma 1982. Ha collaborato a Il Giornale d’Italia, Lazio ieri e oggi, Riforma della Scuola, L’Educazione Nazionale, I diritti della Scuola, I Problemi della Scuola, Corriere delle Maestre, La Scuola, Puer, Indice d’oro, Scuola di base, Tecnica e Didattica. Ha tradotto, per le Edizioni Il Cisalpino, Le Confessioni di G. G. Rousseau. Per i suoi meriti di educatore gli è stata conferita la Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione e la Medaglia d’oro della Croce Rossa Italiana. Si è spento a Roma il 28.10.1988. (red.)

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I festeggiamenti del Santo protettore Sapevamo che i calendari fissavano, per il mese di gennaio, le feste in onore del Santo protettore; ma sapevamo anche che i veri e grandiosi festeggiamenti Gli venivano tributati a maggio. Sapevamo pure che per tre giorni si godeva ogni spasso, e a noi ragazzi erano riservate tutte le baldorie. V’era solo l’inconveniente dei compari, che accorrevano dai paesi vicini; ma vi erano, ad accarezzare i nostri orecchi, ben due bande musicali e il drappello dei cosdidetti “scassa-tamburi”, questi  allietandoci nelle strade, quelle alternandosi nell’esecuzione delle opere liriche, dentro l’apposito palco di legno, ove non occorreva il ragazzino (io fui onorato di tanto) che  reggesse il libretto e la carta pentagrammata.

La sera, oltre le audizioni, di cui si è detto, ti toccavano gli odorosi “gnumaridde”, che, se volevi, potevi mangiare, mentre ascoltavi. Al centro di tali festeggiamenti, quando, cioè,  passava la processione con la statua del Santo, seguita dalle arpe e dai violini, in piena attività, la Mamma scolava la pasta, ché, quelli, erano giorni di maccheroni e carne. Mi scordavo del “maggio”, detto, altrove, “albero della cuccagna”. Sì, ha qualcosa di simile, ma quello mio era molto più alto; tanto è vero che gli accettaiuoli andavano la domenica  prima della ricorrenza a scegliere, nel bosco, il cerro più elevato, a cui, liberato dai rami, innestavano un altro, detto “cima”, ricco di verdi foglie.

Quello che avveniva in quelle  domeniche mi fu raccontato, ché i Genitori non mi mandavano, così piccolo, nell’immenso bosco, ove, mentre tutt’intorno era primavera e gli adulti erano intenti a preparare il  “maggio”, di tanto in tanto le forosette ti mettevano sotto gli occhi le ceste piene di grossi pezzi di formaggio e di taralli, che distribuivano, per devozione, a tutti, e ti facevano bere alle pingui “fiasche”. Al bosco non m’hanno mandato; ma ho visto come quegli alberoni, che poi tiravano su con gli argani, venivano trascinati dai bovi, con le corna tra i profumati fiori dell’acacia; ed era una bellezza vedere come uomini e bestie si prodigavano per fa muovere, negli angusti e tortuosi sentieri, quei dritti scorticati grossi tronchi: uno  spettacolo, che fece esclamare a Ciccio, di me più grandicello ed erudito: «È una festa greca!». Nel pomeriggio del giorno centro dei festeggiamenti, ognuno, purché avesse  compiuto sedici anni, anche senza porto d’armi, poteva tirare al “maggio” o “albero della cuccagna” che dir si voglia, e buscarsi il suo bravo capretto, o la sua brava forma di  formaggio, o la stecca di baccalà. Tutto veniva coronato dai fuochi d’artificio, che ti facevano vedere nel cielo tante stelline colorate e il frequente cannoneggiare, specie dei colpi  finali, che davvero insordivano. E il giorno dopo, potevi cantare, coi compagnucci: «Paga, paga, procuratore / ca la festa j’è fernuta».

Lo stroncone Pochi sapranno, adesso, che cosa è uno stroncone.Conoscevo la sega del falegname,  il seghetto del potatore, quella a sciabola; lo stroncone, no. Immaginate una lama  d’acciaio, dentellata, larga circa quindici centimetri e lunga tre metri. Lunghissima, ché mio padre stentò a sistemarla sul basto della bestia. Aveva, lo stroncone, due manole, una  per capo; e non bastava, perciò, una sola persona a farlo andare; ragion per cui dovetti tirare anch’io. Del resto, quasi a compensarmi, le tavole del noce dovevano servire per il  mio letto matrimoniale, essendo io il primo figlio. Ci alzammo, come al solito, prima dell’alba, e partimmo per S. Giovanni.

I passoni erano già accatastati, ora bisognava stroncare. Le tavole le avrebbe allestite il falegname. Stroncare, mi spiegò mio Padre, era semplice: si dovevano portare i pugni al  petto, e lo stroncone sarebbe venuto con loro. Ma bisognava ripetere questo tira e molla, per cento, per mille volte. Alla fine, ero stanco; mio Padre se ne accorse e mi condusse alla frittata con la cipolla.

Non ero nuovo a simili fatiche; ma quella frittata, consumata sul declivio di quel monte, quando il sole primaverile aveva già percorso un terzo del cielo, mi fu tanto dolce e gustosa.

Se mast’Inguinguere mi muore Quando uno agiva prima del tempo, come noi diciamo: ci si fascia il capo, prima di rompercelo, così gli accetturesi raccontavano il fatto di mast’Inguinguere. Si diceva, dunque, che un tale, dovendo chiedere la mano di una ragazza, si recasse nella di lei casa e, poiché si era sull’imbrunire e la cena era prossima, il  futuro ipotetico suocero disse alla futura ipotetica sposa: Vai a cacciar da bere. Lei andò nel tinello e, mentre il vino dalla botte scendeva nel “rezzulo”, mormorava: Adesso mi  fidanzo, poi mi sposo; poco dopo mi nasce un figlio, che chiamo mast’inguinguere.

E se mast’Inguinguere me more ? E cominciò a piangere. –Oh, mast’Inguinguere, oh, mast’Inguinguere. Intanto il vino, riempito il recipiente, fuoriusciva. Il padre, vedendo che la  figlia tardava, scese anche lui, e la trovò col capo  fra le mani, che piangeva. Gliene disse la ragione e anche lui scoppiò a piangere. –Oh, mast’Inguinguere, oh, mast’Inguinguere. Lo stesso fece la madre dell’ambita. Intanto il vino scorreva e scorreva. Il candidato alle nozze, impensierito, andò giù anche lui, per renderdi conto della causa di sì gran ritardo, e li vide, in un mare di vino, piangere tutt’e tre, reggendosi il capo. Atterrito, domandò: Che cosa è successo ? Uno dei tre gli fece conoscere la ragione dei loro pianti; e lui, comprendendo che aveva a che fare con una famiglia di stupidi, non chiese più nulla.

Pag. 9 – Un’accetturese in prima linea nella lotta alla leucemia _ Angelo Labbate »

Chiamarsi Marzia e dichiarare guerra alla leucemia, è un segno del destino. Nome omen, come dicevano i latini, un nome un destino. Ne è convinto il suo maestro, il professor Franco Lauria, anch’egli lucano di Salandra, ematologo e direttore del dipartimento di ematologia e trapianti dell’università di Siena. «La dottoressa Defina è un fulgido esempio delle capacità dei lucani. Poche chiacchiere e tanto lavoro. Ha relazionato a Barcellona, in occasione del Congresso della Società Europea di Ematologia, sul ruolo terapeutico di un vaccino nella leucemia mieloide cronica. Attualmente sta facendo un dottorato di ricerca a Siena e spero che quanto prima possa andare all’estero per occuparsi di cellule staminali leucemiche».

Marzia Defina, una bella ragazza mare-monti, (il padre, Rocco, è di Accettura, mentre la madre, Grazia, è di Montalbano Jonico), dopo aver conseguito brillantemente la laurea in medicina nell’ateneo senese, si è specializzata in ematologia. Per naturale ritrosia, Marzia è restìa a parlare di sé, del suo lavoro e dei progetti per il futuro. Sollecitata, in maniera telegrafica, racconta che è impegnata nel Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena nella cura di leucemie acute, sindromi mieloproliferative croniche e sindromi mielodisplastiche. Fa parte, inoltre, del gruppo di lavoro che sperimenta il ruolo di un vaccino nella terapia della leucemia mieloide cronica, un tumore maligno caratterizzato da un aumento del numero dei globuli bianchi nel sangue periferico, nella milza, nel midollo e in altri organi e tessuti. Il vaccino “miracoloso” è il peptidico, composto da piccole cellule, chiamate peptici, che riconoscono le cellule leucemiche e le eliminano.

I risultati raggiunti sono incoraggianti. Costituiscono un grande passo in avanti nella lotta a una malattia fino ad ora guaribile solo con il trapianto di cellule staminali emopoietiche. Una procedura che comportava molti rischi ed era praticabile solamente su pochi pazienti.

Pag. 27 – Stato civile e anagrafe _ a cura di Aldo Nota »

Pag.36 – CONTI DELLA FESTA DI S.GIULIANO Dell’introito per la festa del centenario 8 giugno 1897 »

Pag. 32 – Podolica lucana. Che cosa vuoi di più? _ Giuliano Labbate »

La razza Podolica origina dal Bos Primigenius Podolicus, un bovino di grande mole e dalle corna lunghe che si suppone sia stato addomesticato in Medio Oriente nel IV millennio a. C. Sulla provenienza del bovino Podolico esistono due teorie: secondo una di queste la Podolica deriva da bestiame venuto in Italia nel 452 d. C. al seguito degli Unni,   provenienti dalla Mongolia e poi passati attraverso le steppe ucraine della regione Podolia, che possono essere considerate la vera culla della razza.
Secondo un’altra teoria, sin dal I secolo a. C. sarebbero stati presenti bovini a corna lunghe provenienti da Creta, dove già in epoca minoica esisteva il bovino macrocero  identificabile con il Bos primigenius. Diffusa nell’Italia Meridionale, la razza Podolica ha caratteristiche di grande robustezza e rusticità. La consistenza dei capi si attesta intorno ai  100mila, dei quali circa 25mila iscritti al Libro genealogico nazionale dell’Anabic (Associazione nazionale bovini da carne), di questi ultimi circa il 70% è presente in Basilicata.
La razza Podolica oggi è diffusa prevalentemente nelle aree interne delle regioni dell’Italia meridionale peninsulare: Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Molise. Caratteristica peculiare di questo bovino è l’eccezionale potere di adattamento ad ambienti particolarmente difficili, nonché la straordinaria capacità di utilizzare risorse alimentari che non potrebbero essere sfruttate diversamente. Questo bestiame, infatti, riesce a valorizzare pascoli cespugliati, stoppie, macchie, utilizzando le foglie di essenze arbustive, i ricacci di  quelle arboree, la produzione erbacea del sottobosco.
Tralasciata attualmente la sua attitudine al lavoro, la razza Podolica viene utilizzata per il latte e la carne. Produce un latte molto ricco di grasso, con cui si ottiene il Caciocavallo  podolico, principe dei formaggi a pasta filata. La carne, saporita, presenta un contenuto di lipidi (grassi ) e colesterolo leggermente inferiore, ma è il pascolo che apporta un  elevata quantità di Acido Linoleico Coniugato (CLA) che è una delle qualità salutistiche più importanti della carne podolica.
I dati forniti dalle Associazioni Provinciali Allevatori (APA) di Potenza e Matera riportano che in Basilicata vi sono 316 allevamenti di Podolica iscritti al Libro Genealogico Nazionale  per un totale di 17.290 capi di bestiame. Gli allevamenti in provincia di Potenza risultano 254 con complessivi 13.833 capi di bestiame, mentre in provincia di Matera sono attivi 62 allevamenti per un totale di 3.457 animali.
Le zone dove vi è maggiore presenza sono: Abriola, Calvello, Albano di Lucania, il Volturino, l’Area di Gallipoli Cognato, il Vulture, i Monti Sirino e Raparo e il Pollino. Ad Accettura  vengono allevati circa 2.000 capi, dato che negli ultimi 10 anni non sembra aver subito modificazioni significative, malgrado il settore zootecnico stia attraversando una profonda  crisi di carattere nazionale, prima ancora che locale. I motivi della crisi sono diversi, molti dei quali legati essenzialmente ad una grave carenza strutturale delle aziende presenti sul nostro territorio, alla inadeguatezza delle strade di comunicazione, alla mancanza di estensioni di terreno pianeggiante dovuta alla configurazione naturale orografica e all’antropizzazione spinta del territorio, alla chiusura dei mattatoi anche nei comuni limitrofi, ad uno scarso turn-over nella gestione aziendale familiare, all’importazione di carne  dall’estero e, non ultimo, ad un drastico crollo dei prezzi di mercato.
Sarebbe necessaria, per poter far crescere la zootecnia locale, anche e soprattutto una maggiore attenzione delle Istituzioni preposte verso l’entroterra e la collina materana per  poterne rilanciare l’economia, l’occupazione, oltre che contribuire alla conservazione del patrimonio agrosilvo-pastorale.
La Regione negli ultimi anni ha messo in campo una serie di iniziative, tra cui forse la più importante riguarda i fondi PIF (prodotti integrati di filiera), 140 milioni di euro, che  dovrebbero consentire di integrare verticalmente gli operatori delle varie filiere zootecniche e no, incentivando la creazione di prodotti d’eccellenza e contribuendo a integrare gli allevatori con gli altri soggetti che operano sul territorio lucano, tutto ciò favorendo la creazione di infrastrutture logistiche e lo sviluppo di attività di ricerca, promozione e marketing. Tuttavia, i requisiti quali il benessere animale, la condizionalità, le necessarie tecnologie aziendali, il business plan, fanno sì che le aziende locali non abbiano le caratteristiche per accedere a questi fondi che inevitabilmente finiscono nelle casse di aziende già floride presenti nell’area del Marmo Platano e del Metapontino.
Allora quali iniziative mettere in campo per rilanciarne il settore? L’Amministrazione comunale è riuscita a riproporre, dopo anni di sospensione, la tradizionale fiera degli animali  da reddito che storicamente si teneva il I° ottobre e che quest’anno ha fatto registrare un buon numero di presenze sia di espositori che di visitatori. La fiera potrebbe essere un buon volano per rilanciare il comparto zootecnico, ma ha bisogno di essere inserita in un contesto più ampio, che possa coinvolgere non solo i paesi limitrofi, ma quelle intere aree della Puglia e della Calabria laddove l’allevamento podolico fa registrare una buona consistenza di capi allevati.
Altra iniziativa posta in essere dall’Amministrazione comunale è stata la partecipazione al progetto “Terre d’Italia a confronto”, tenutasi a Monsummano Terme ai primi di luglio, che ha visto protagonisti sapori, profumi e tradizioni gastronomiche del nostro paese e che ha rappresentato un’ottima occasione per i nostri produttori di uscire dai ristretti orizzonti locali e di proporre all’attenzione degli operatori commerciali toscani i nostri prodotti di derivazione zootecnica.
Tuttavia, la partecipazione al suddetto progetto, ha evidenziato il grosso limite delle nostre produzioni tipiche, cioè la carenza quantitativa dei prodotti che in nessun caso  potrebbero far fronte alle eventuali richieste di un più ampio mercato che vada al di là del semplice mercato di nicchia. Per superare tali limiti sarebbe opportuno e necessario promuovere l’associazionismo tra i produttori locali in modo da poter accrescere la massa critica delle produzioni offrendo l’opportunità alle aziende di affermarsi sui mercati italiani.
In conclusione, bisognerebbe rivolgere maggior attenzione ad una razza nobile decaduta, la Podolica, che oltre ad avere una forte identità in Basilicata, sta diventando un simbolo  per il territorio lucano e che necessita di ulteriore lavoro di valorizzazione e di tutela delle tipicità per l’intero comparto agricolo e zootecnico che, seppur in difficoltà, sta cercando di  individuare un momento di svolta puntando sulla qualità e sulla salubrità dei prodotti.
Lavorare sulla valorizzazione di tale razza potrebbe rappresentare un motivo di permanenza degli allevatori nelle aree marginali; essi sono stati e, si spera, continueranno ad  essere un elemento di tutela e valorizzazione per l’intera comunità lucana attraverso la permanenza in luoghi dalla elevata valenza naturalistica e attraverso il ruolo di tutori del  territorio in cui vivono.

Pag. 28 – Un fenomeno chiamato Daklen _ Angelo Labbate »

All ’origine del fenomeno Daklen c’è il felice incontro tra una naturale predisposizione alla musica e una solida tradizione familiare. Il nonno paterno, Antonio Difato, già da  adolescente divide i suoi interessi tra la bottega di falegname e la scuola serale di musica. Tra le due passioni prevale il mal di pentagramma.
Con grandi sacrifici si diploma in trombone al conservatorio Duni di Matera e si dedica all’insegnamento nella scuola media inferiore. Riorganizza e dirige la gloriosa banda di  San Mauro Forte, ereditando la bacchetta del maestro Calbi. Contagia l’intera famiglia. Non c’è figlio che non suoni uno strumento. Daniele, papà di Daklen, è un apprezzato  trombettista e maestro delle bande di Accettura e Garaguso. Mariella, percusssionista, è laureata in paleografia musicale e ha pubblicato un’interessante storia del concerto  bandistico sammaurese.
La passione per la musica è trasmessa anche a nonna Beniamina, suonatrice di clarinetto. Dalla scuola di maestro Antonio escono centinaia di allievi, fra i quali Giuseppe Mega,  direttore d’orchestra e collaboratore del teatro musicale del Maggio fiorentino. Ma l’enfant prodige è il nipotino Daklen. È papà Daniele a intuire le straordinarie qualità del piccolo  Daklen, che a orecchio esegue al piano le musiche di Morricone. Lo affida al pianista Vincenzo De Filpo, di cui diventa l’allievo prediletto. A otto anni ha sbalordino mezza Italia e non solo, dopo la partecipazione a Festa Italiana, la popolare trasmissione di Rai Uno, condotta da Caterina Balivo. Un grande successo per il piccolo Daklen, che al piano  esegue con virtuosismo il preludio in do minore di Johann Sebastian Bach e la tarantella di Sergei Prokofiev.
Successivamente Pippo Baudo lo ospita a Domenica In …7 giorni. Dopo la partecipazione alla selezione del progetto “Conservatori in Concerto”, suona alla Radio Vaticana. Le apparizioni televisive ormai non si contano più. È ospite del programma Le Amiche del Sabato, in diretta su Rai Uno; delle rubriche Buongiorno regione dei TG3 di Puglia e di  Basilicata; della trasmissione di Canale 5 Pomeriggio Cinque. La fama di Daklen vola oltre oceano. L’Ambasciatore italiano negli Stati Uniti, a marzo 2009, lo invita a tenere un  concerto a Washington, nella sede dell’ambasciata, in rappresentanza della cultura italiana, in occasione della Festa Nazionale del 2 giugno.
Il successo mondano non ha montato la testa a Daklen; né l’amore per la musica lo distolgono dal gioco, dallo sport e dallo studio. Intervistato da Leo Gullotta, nel corso di Festa  Italiana, sui progetti per il futuro, il baby musicista risponde che vuol fare il mestiere di Piero Angela. «Che è un cultore del jazz e un bravissimo suonatore di pianoforte»,  commenta il popolare attore siciliano.

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