Questa è Accettura, un piccolo paese nei pressi delle montagne del Parco di Gallipoli Cognato e del maestoso bosco di Montepiano. Un paese immerso nel cuore della natura, nel verde vivo d’estate e nel grigio triste d’inverno, tra canti di passeri, pettirossi e rimbombi di campane verso le praterie delle montagne.
In questo piccolo borgo la semplicità e le usanze ancora ancestrali fanno da sfondo ad un palcoscenico continuo nel tempo che vede come protagonisti i grandi vaccari, i vecchi pastori, i boscaioli e i saggi mulattieri.
Queste attività, ormai evolute in gran parte del mondo, hanno una storia che rimanda a innumerevoli generazioni. La gestione di grossi allevamenti, soprattutto allo stato brado, porta l’allevatore ad avere e possedere conoscenze di vario tipo, ad esempio la conoscenza della struttura del territorio, i vari punti di confine, la presenza di acqua, la difesa da predatori esterni… Tutti aspetti che non devono assolutamente mancare per una corretta gestione del bestiame.
La maggior parte dei grandi allevamenti sparsi sulle montagne di Accettura conta un maggior numero di capi di bovini Podolici.
L’antica razza bovina podolica era considerata “animale da lavoro” e oggi continua a vivere allo stato brado, garantendo dei derivati di superiore ed eccelsa qualità.
La Podolica è considerata una razza pregiata, indissolubilmente legata al suo territorio, con caratteristiche nutritive “importanti” e un fascino tutto particolare; una razza che viene allevata in pascoli estensivi soprattutto nel Sud Italia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia).
Iniziamo col dire che il mantello di questo splendido esemplare, nel caso del sesso maschile, è di colore grigio, tendente allo scuro sul collo, sulla coscia, sull’orlatura dell’occhio e dell’orecchio; per la femmina, invece, troviamo un mantello più chiaro. Anche le corna, che possono arrivare fino a 100 cm, sono diverse: per i maschi sono a mezza luna, mentre per le femmine sono a forma di lira.
L’origine di questo animale è molto controversa: la versione ufficiale la assocerebbe alla regione steppica della Podolia, in Ucraina. Da qui gli Unni l’avrebbero importata, nel 452 d.C., in varie zone d’Europa, fino all’isola di Creta. Altri assocerebbero l’importazione ai Romani e c’è addirittura chi sostiene che sia sempre stata di origine della penisola italica.
L’associazione del nome potrebbe essere anche dovuta alla parola “pedus” (in latino “piedi”) che richiama alla caratteristica del pascolo allo stato brado.
L’animale, pascolando in aperta natura, si nutre solo ed esclusivamente di erbe e arbusti spontanei che conferiscono alla carne – e al latte soprattutto – delle caratteristiche ben precise.
Inizialmente, la razza era utilizzata come animale da lavoro per il suo temperamento fisico molto resistente: rusticità, frugalità, scheletro leggero e resistenza ad ambienti particolarmente difficili. Questa sua natura “wild” la rende poco adattabile ai sistemi di allevamento intensivi – al massimo viene ingrassata allo stato semi brado – ed essendo anche lenta nel “crescere” la si identifica come un animale diverso dagli altri simili, con una scarsa produzione di carne e di latte. Tutte queste caratteristiche messe insieme, però, fanno sì che sia il latte che la carne siano di altissima qualità. Al gusto risulta naturalmente sapida – tanto da non richiedere aggiunte di insaporitori in fase di cottura – la colorazione del grasso è tendente al giallo grazie alla presenza di carotene, e la fibra muscolare la rende tenace al morso. Inoltre, la carne della vacca podolica, è ricca di sali minerali.
Come precedentemente riportato, possiamo facilmente intuire che la Podolica è arrivata in Basilicata attorno all’ anno 1000 d.C. e trovando un territorio favorevole si è adattata e continua a farlo fino ai giorni nostri.
La foresta di Gallipoli Cognato è un ottimo esempio concreto sulla gestione del bestiame podolico allo stato brado.
Questa immagine riporta chiaramente la rusticità di questo animale. Possiamo notare la scarsa presenza di erba (quasi assente) e la presenza sfumata di pochi arbusti di bassissimo valore nutritivo.
IL CACIOCAVALLO PODOLICO
Il caciocavallo podolico è un formaggio tipico del Sud Italia, ricavato esclusivamente da latte di bovine di razza podolica allevate in pascolo. Sino ad alcuni anni fa i bovini di razza podolica risultavano in via di estinzione. Il foraggio verde dei pascoli, le erbe aromatiche e i mille fiori ne arricchiscono il latte di elementi nutritivi e di un ricco bouquet di aromi di montagna. L’origine della denominazione ”Caciocavallo” è ancora oggi oggetto di discussione. Secondo alcuni deriverebbe da “Kashcaval” termine con il quale gli Slavi chiamano un formaggio simile; fra le altre ipotesi quella che sembra più accreditata è quella che fa risalire l’origine all’uso di appendere ad asciugare i formaggi legati in coppia a cavallo di una trave.
LA PASSIONE DI UN UOMO
Il 14 ottobre del 1941 ad Accettura, nasce Antonio, in una famiglia di veri vaccari e contadini.
Antonio insieme ai suoi fratelli, cresce tra i boschi e gli animali, lavorando sin da bambino. La responsabilità, a quei tempi, la si guadagnava attorno al decimo anno di età attraverso l’affidamento di una piccola parte del bestiame da portare qua e là sulle montagne. Tutto ciò non era assolutamente facile, c’ erano da percorrere lunghi chilometri a piedi e portare lo stesso passo delle vacche risultava particolarmente difficile in tratti, ad esempio fangosi, rocciosi e fortemente pendenti.
Non era questa la sola difficoltà. La cosa più importante era saper proteggere la mandria dai predatori e cercare di rientrare la sera alla masseria senza aver commesso errori.
Antonio era il più piccolo dei fratelli e ovviamente le mansioni più fastidiose e complicate venivano affidate a lui. Aveva appena dieci anni quando portò per la prima volta le vacche al pascolo, da solo, con un pezzo di pane in tasca e la paura si aggrappava alle spalle come una fastidiosa edera su una giovane pianta di cerro. Trascorse tutta la giornata su quella montagna non perdendo mai di vista gli animali e raccogliendo un po’ di legna secca da portare a casa. Fortunatamente Antonio riuscì, a soli dieci anni, a tornare nella masseria con tutti gli animali e venne ripagato dai genitori con un po’ di minestra calda.
Passarono così i primi anni della giovinezza, guadagnando solamente tanta esperienza, spendendo la cara salute.
Antonio diventa maggiorenne. Qualche anno dopo incontra Giuseppina e si sposa, dando alla luce Rosa, Giuseppe e Annalisa. Questi furono gli anni più duri per Antonio poiché viene allontanato dalla masseria ed è costretto ad emigrare.
Partì da solo, su un treno, con una sola valigia con all’interno lo stretto necessario. Arrivò in Germania, in provincia di Stoccarda, senza alcun appoggio e fu costretto ad accamparsi in baracche di ferro, con un solo letto e l’acqua che penetrava dappertutto.
Immaginate di partire per una terra sconosciuta senza conoscere minimamente la lingua, senza lavoro, senza internet e senza amici. La partenza e l’arrivo di Antonio furono proprio così. I primi anni all’estero furono difficili, veramente difficili…
Dopo qualche mese dall’arrivo in Germania, Antonio riuscì a trovare occupazione presso le ferrovie e lì vi rimase per quasi quarant’anni. Tornava dalla famiglia soltanto a Natale e a Pasqua e la comunicazione con la moglie e i figli avveniva tramite lettere.
Nel frattempo ad Accettura, Giuseppina lavorava presso le campagne, andava da semplice operaia a raccogliere le olive in cambio di un po’ d’olio per la casa, andava a Policoro a raccogliere le fragole alle tre del mattino. Erano, da parte di entrambi, tutti sacrifici per i figli, per mandarli a scuola, sperando per loro in un futuro migliore.
Rosa era la figlia più grande, concluse le scuole medie e si dedicò alle faccende di casa e al lavoro a soli tredici anni. Anche Giuseppe terminò le scuole medie e iniziò a lavorare come boscaiolo. Aveva quindici anni, prendeva il pullman tutte le mattine alle cinque per recarsi sul cantiere a Potenza. Arrivato alla stazione c’era il titolare della ditta che lo aspettava, lo accompagnava a fare colazione e insieme si recavano poi in bosco. Giuseppe era l’operaio più piccolo ed era tra i migliori motoseghisti, se non il più in gamba. Iniziò così per lui un vero e proprio amore verso questo lavoro che non è mai finito.
Annalisa era la figlia più piccola, fu l’unica che proseguì gli studi e riuscì a diplomarsi.
Gli anni così passarono piano piano, Antonio su quelle ferrovie continuava a non arrendersi, ad essere sempre più forte nella speranza di guadagnare qualche soldo in più. A volte lavorava per due turni di seguito, dalle quattro di mattina fino a tarda notte. Tornava a casa da solo, costretto anche a fare le pulizie e a cucinarsi qualcosa da mettere nello stomaco.
Le prime grandi soddisfazioni arrivano con i matrimoni dei figli.
Qualche anno dopo Antonio, attorno agli anni duemila, si ritira definitivamente ad Accettura dopo aver raggiunto il pensionamento.
Ossessionato dal lavoro, Antonio decide di comprare un piccolo pezzo di terra nella parte bassa del paese, vi costruisce una bella casa, un grazioso vigneto e inizia a lavorare il legno.
La passione per le vacche, però, non è mai morta nel cuore di Antonio. Proprio per questo, ancora oggi, costruisce coppie di buoi e vacche tutte in legno, con una tecnica pazzesca che lascia tutti senza fiato.
“L’uomo tra natura e passione” – di Rocco Colucci
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Un racconto che è il racconto di tante nostre famiglie lucane.
Mia madre era di Accettura e mio padre di Campomaggiore.
Inizio anni ’50 si sono trasferiti a Roma, come tutti/e, per migliorare la loro condizione e per offrire a noi figli un futuro.
Ma per noi figli le estati erano Campomaggiore ed Accettura, dove ho scoperto la meravigliosa natura della nostra regione, gli animali, la sapienza degli artigiani, la vocazione per la musica e il ballo.
La Basilicata, regione fino a pochi anni fa sconosciuta ai più, inizia ad essere apprezzata, un bene per l’economia e il lavoro dei giovani.
Ma spero che il vostro amore per questa terra sia la migliore sentinella per preservarla.
Un grande augurio